Il rock. Quello vero. Quello diretto, che non si perde in chiacchiere. Quello con la rabbia dentro e fuori.
I ragazzacci de La Macabra Moka prediligono il vecchio stile. Le sane martellate di una volta. Toni pesanti impregnati di densa elettricità. Un alternative rock aggressivo e notevole, frutto di una personalità già ben delineata e decisa, che sa bene ciò che vuole. Il gruppo di Cuneo è tornato dopo “Espresso”, il primo EP che tanto aveva convinto.
Con “Ammazzacaffè” però i piemontesi sembrano acquistare ancora maggiore sicurezza, tirando fuori i denti e facendosi valere, riuscendo a fondere una voglia matta di divertirsi con un bisogno folle di esprimere un’ira feroce covata dentro da tempo. Passando dai complicati incastri di “Fibonacci”, brano quasi totalmente strumentale, ai rabbiosi ritmi spezzati e funkeggianti de “L’iconoclasta”, avvicinandosi all’hardcore con l’aggressività di pezzi come “Ignoranza” e “Manrovescio”: il disco attraversa le tinte accese del rock, mescolando un’attitudine grunge con ruvidi virtuosismi quasi sul prog. Il tutto coronato dalla voce accattivante e distruttiva di Pietro Parola.
I quattro de La Macabra Moka fanno centro. Magari più che un “Ammazzacaffè”, si tratta proprio di quella tazzina che deve darti la carica giusta la mattina, appena alzati.
L’adrenalina e l’energia descritte con le note.
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