Passa così velocemente il tempo che nemmeno te ne accorgi e taaac! [da pronunciarsi rigorosamente alla Pozzetto] ecco il 6° album del buon Dargen D’Amico, un risultato davvero importante per “il semaforo lampeggiante” della musica italiana.
“D’iO” è un bel disco, che cresce progressivamente, ascolto dopo ascolto e che punta ancora una volta su sonorità sintetiche e sostanzialmente votate al pop, con un cantato poi sempre più presente e, così come pure le rime, tutta farina di un’inaspettatamente autarchico JD.
Il fu Corvo d’Argento conferma un’ulteriore volta di saper scrivere come pochissimi, guardando e guardandosi da prospettive assolutamente originali e peculiari, angolazioni trasversali e sghembe che aggiungono un piacevole retrogusto dolce – amaro a testi che come d’abitudine rifuggono la banalità così come Ovidio rifuggiva le cose che stanziavano alle sue spalle.
La tendenza di alternare cazzeggio a momenti più seriosi è ancora presente, anche se molto meno marcata e con l’aspetto riflessivo a prevalere sull’ironia e sul doppio senso. E così troviamo pezzi come “Io, quello che credo” e la double finale “Modigliani” + “Essere non è da me”, meraviglie nelle quali è un attimo e autentica libidine perdersi. Ma si trovano anche testimonianze del Dargen semiserio – sentire “La lobby dei semafori” e “La mia donna dice” – come pure del cazzaro totale e qui come testimonial a vita c’è “Las Vegas Honey Moon” con un ritornellone del tipo “Las Vegas Honey Moon sulla strip con una strip, limonare come lama in limousine”.
Ascoltare “D’iO” inizialmente può sembrare una roba semplice, nella realtà non lo è affatto. Ma una volta tanto il gioco vale assolutamente la candela ed in più ci ricorda come pure questa volta aveva ragione il saggio cantore quando profetizzava che “D’Amico è qualcosa che più ce n’è meglio è”.
Benone!
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