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Sufjan Stevens – Carrie & Lowell

2015 - Asthmatic Kitty
songwriting / alt-folk

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Tracklist

1.Death With Dignity
2.Should Have Known Better
3.All Of Me Wants All Of You
4.Drawn To The Blood
5.Eugene
6.Fourth Of July
7.The Only Thing
8.Carrie & Lowell
9.John My Beloved
10.No Shade In The Shadow Of The Cross
11.Blue Bucket Of Gold

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Quella di Sufjan Stevens è una storia artistica che abbraccia quindici anni di storia Americana. Per la precisione gli anni compresi tra il 2000 e il 2015 andando quindi a comprendere, almeno per due terzi, i cosiddetti anni zero, quelli del buco generazionale, della paura degli attentati seguita dalla paura della crisi economica. Un tranquillo quindicennio di paura per dirlo alla John Boorman. Mettendoci anche che Stevens nasce (e resta fino a nove anni) a Detroit nel 1970, città non proprio tra le più sfavillanti d’America, ne abbiamo tracciato un sommario ma chiarificatore background culturale.

Tuttavia non è questa la classica storia dell’artista in-opposition che rifiuta la sua terra, ma è proprio dell’appartenenza che l’artista fa la sua bandiera quando nel 2003 esce Michigan, primo di un ambizioso progetto di 50 album, ognuno dedicato ad uno stato USA. Cuore folk dunque ma anche tanta sperimentazione a cavallo tra il visionario Enjoy your rabbit (2001) e l’elettronico The age of adz (2010) fino ad arrivare al 2015, l’anno di Carrie & Lowell. Ed ecco emergere un’altra storia, quella intima e personale di Stevens, legata a doppio filo a quella musicale. Carrie è sua madre, venuta a mancare nel 2012 e Lowie è il suo patrigno e fondatore della Asthmatic Kitty.

Il lirismo è forte già dalla prima traccia di un album che si preannunciava proprio come un ritorno alle origini. Ci troviamo di fronte al suo disco forse più personale e ispirato? E’ lui stesso a fornire una risposta affermativa in alcuni passaggi come Death with dignity, delicata opener che viaggia su una chitarra appena pizzicata “I forgive you, mother, I can hear you … Your apparition passes through me in the willows and five red hens”. Carrie & Lowell è come un album di foto di fronte al quale riaffiorano i ricordi e si pensa a cosa sarebbe potuto andare diversamente (rivelatori sono i ricorrenti should e would in Should have known better e Fourth of July) o a cosa lasciamo in questo mondo una volta partiti in The only thing “The only reason why I continue at all/Faith in reason, I wasted my life playing dumb/Signs and wonders: sea lion caves in the dark/Blind faith, God’s grace, nothing else left to impart”.

Basta poco a Stevens per dare una forma a questi pensieri e parole: un ukulele, una chitarra e una voce carica di storie da raccontare. A quasi quarant’anni e con oltre quindici anni di carriera alle spalle, Sufjan Stevens compie un’impresa mirabolante ovvero andare avanti facendo marcia indietro. Proprio così,  ritornando alle origini l’artista ha rotto le barriere del suo stesso genere imbevendosi di un intimismo tanto spirituale quanto ambizioso, dando prova di una maturità raggiunta ormai a pieni voti come affermato da lui stesso in un’intervista rilasciata a Pitchfork lo scorso febbraio: “Sono cresciuto molto in questi ultimi anni”.

Il risultato è un disco di ricordi e di riconciliazione che traccia uno spartiacque importante nella carriera dell’artista di Detroit: se vi guardiamo oltre ci brillano già gli occhi.

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