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Interviste

Intervista a MEG

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Tre dischi in undici anni. Già questo dato dovrebbe dire qualcosa riguardo l’atipicità di Meg, artista che le cose le fa quando le sente e dunque, si potrebbe dire, artista vera. Il suo esordio negli anni ’90 al fianco dei 99 Posse è ben noto; un esordio che in modo naturale, come un battito d’ali, ha portato la musicista napoletana verso una carriera solista che l’ha premiata fin da subito, innalzandola a “principessa” della musica alternativa italiana. Il mix vincente di Elettronica e Pop, modernità e tradizione, atmosfere ipnotiche e uno stile canoro riconoscibile come un incisione a fuoco, è presente anche in “Imperfezione” (clicca qui per la nostra recensione), terzo raffinato lavoro in cui Meg si offre prima di tutto come se stessa.

L’abbiamo incontrata per una interessante chiacchierata.

Sette anni di silenzio, nell’era di Spotify e dell’“usa e getta” musicale, sembrano decisamente tanti, ma forse per questo suscitano un senso di profondo rispetto per l’arte. Come ha influito questo lungo lasso di tempo sul risultato del nuovo disco?
Ho lavorato totalmente guidata dall’istinto e dalla voglia di fare un disco nuovo. Non sempre sono disposta a condividere le mie canzoni con l’esterno perchè ho un carattere schivo, non mi piace espormi e d’altra parte non sento la pressione di dover essere presente a tutti i costi per piacere al pubblico o per ricordargli che esisto. Ho viaggiato molto nell’ultimo periodo della mia vita, non mi sentivo a casa nella mia terra e ho sperimentato la vita in altre città. E’ in questo modo che ho trovato ossigeno per il mio lavoro e i suoni per le nuove canzoni

Cosa differenzia “Imperfezione” dai due lavori precedenti?
Il mio primo disco era una raccolta di canzoni molto intime che avevo scritto anni prima e che avevo lasciato in un baule in soffita. Il mio secondo disco era invece pieno di voglia di ballare, tutto proiettato verso l’esterno. “Imperfezione” è un balance tra questi due stati d’animo: è scritto di getto, con una sicurezza e una leggerezza che prima non avevo. Ci ho lavorato mentre ero all’estero, ogni singolo giorno per cinque mesi e curando quasi tutti gli arrangiamenti da sola.

La riuscitissima reinterpretazione di “Estate” di Bruno Martino, sembra porre la tua musica in uno stato di definitiva armonia tra modernità e tradizione. Qual’è il tuo legame con la storia della canzone italiana”?
La canzone italiana ha accompagnato tutta la mia infanzia. I miei genitori sono due appassionati di musica a 360°, ma adoravano i cantautori italiani. Con le cassette registrate dagli LP abbiamo fatto dei viaggi meravigliosi: ascoltavamo Dalla, De Gregori, De Andrè, Tenco e Pino Daniele a manetta, mentre mio padre teneva il ritmo con una mano sul cruscotto. Ho studiato così, ascoltando canzoni italiane con testi-gioiello.

Come è ben noto sei nata artisticamente nell’ambiente hip hop nostrano, in un epoca (gli anni ’90) in cui era sinonimo di cultura underground. Ora che sono cambiate molte cose e che il Rap è diventato “Pop”, qual’è la tua considerazione di questo genere e degli artisti che attualmente lo rappresentano?
Anche il mio amore per l’Hip Hop è nato da bambina. Con il mio amico fraterno Giuseppe ascoltavamo i Beastie Boys e i Run Dmc e nei sedili posteriori delle macchine dei nostri genitori giocavamo a rappare in un inglese grammelot, passandoci un microfono immaginario. Quando da grande mi hanno chiesto di scrivere un po’ di Rap, per me non ha significato altro che tornare bambina e giocare. Poi le definizioni di Pop non mi interessano; per me la musica o è bella o è brutta, o meglio: o mi piace o non mi piace.

Il video di “Imperfezione” è stato girato in Islanda, patria di Björk: c’è qualchè connessione con il fatto che da sempre vieni definita da molti, a torto o a ragione, come La “Björk italiana”?
La connessione sta nel fatto che così facendo volevo perculare proprio quelli che dicono che sono la “Björk italiana”. No scherzo, la verità è che cercavamo un luogo lunare per rappresentare la nostra storia imperfetta e l’Islanda, con le sue distese bianche di neve e le sue striature nere di lava, facevano esattamente al caso nostro.

Hai dichiarato, a proposito del titolo del disco, che la vita ti ha portato a riconoscere la bellezza nell’imperfezione e che questo ti ha reso più umana. Da qui lo spunto per chiudere con una domanda spirituale: Qual’è l’imperfezione più bella dell’umanità?
Sicuramente l’inclinazione ad amare, nonostante la paura di soffrire.

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