Come si affrontano i momenti più intensi e drammatici della propria vita? Secondo Kristian Matsson aka The Tallest Man On Earth dando alle stampe il quarto album in studio della propria carriera chiamato Dark bird is home. Il duro momento del folksinger svedese ha come punti focali il divorzio dalla moglie Amanda Bergman e la scomparsa di un congiunto e sono proprio questi elementi a condizionare profondamente e a dare una direzione univoca, sia a livello testuale che sonoro, a questo album.
Dal 2006 al 2012, rispettivamente dunque dal suo primo ep al penultimo album, ci eravamo abituati alla sua emotività contenuta e alla sua delicata ma potente sensibilità.
Ora invece la rotta è cambiata, tutto sembra più spirituale e profondo, le atmosfere più raccolte e un muro sonoro che lascia come unico punto afferrabile l’inconfondibile voce. Nonostante il cambiamento la matrice resta la stessa, come lui stesso ha tenuto a precisare in un’intervista rilasciata qualche giorno fa alla rivista americana SPIN: “Non sparirò dietro la band creando una distanza. Non mi adagerei sulla band perdendo il contatto con la folla poiché essa è una delle cose più belle che ci siano”.
E’ in tracce come Seventeen, che si coglie appieno questo cambiamento-presa di coscienza, sospinto da strumenti nuovi e da testi che parlano di crescita e ricordi (Little nowhere towns), dello scorrere del tempo (Fields of our home), della difficoltà a comprendere la vita (Singers). Dunque nonostante un approccio sempre positivo, stavolta non si può fare a meno di notare una malinconia più marcata che accompagna a pie sospinto ogni nota e ogni verso di Dark bird is home.
Tanta vita e ispirazione sono il fulcro di questo nuovo album di The tallest man on earth, mentre il vestito è nuovo e viaggia tra fiati, archi e backing vocals. Lo svedese riesce a uscire dai propri canoni e a creare un prodotto in parte differente dal resto, riuscendo a scrollarsi un po’ di dosso la lunga serie di reminders frettolosamente e impropriamente accostatigli.
The tallest man on earth mette da parte la figura del kalos kai agathos rubacuori ed eternamente solare per entrare in una dimensione più profonda e personale come esplicato nell’ultimo verso dell’ultimo brano Dark bird is home: “No this is not the end and no final tears, that we need to show. I thought that this would last for a million years. But now I need to go. Oh, fuck”. Una piccola ma vincente inversion di tendenza.