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Wire – Wire

2015 - Pink Flag
post-punk

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Tracklist

1.Blogging
2.Shifting
3.Burning Bridges
4.In Manchester
5.High
6.Sleep-Walking
7.Joust & Jostle
8.Swallow
9.Split Your Ends
10.Octopus
11.Harpooned

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Siamo nel 2015, per quale motivo state qui ad ascoltare un disco dei Wire? No seriamente, chiedetevelo, o ancora meglio, chiediamoci tutti insieme perché i Wire stiano ancora andando avanti a produrre album quando non hanno più niente da dimostrare a nessuno né grossi mutui da pagare?

In realtà credo non lo sappiano bene manco loro, ascoltandoli sembra quasi di andare a trovare quello sfigato zio rimasto scapolo, tremendamente intellettuale e superiore a tutto che cerca di mantenere un contatto con la realtà, riuscendo a salvarsi dal ruolo del rincoglionito “nonno Simpson” solo grazie alla sua gran esperienza. Non a caso la prima canzone del nuovo, self titled per di più, si chiama “Blogging”. No davvero, BLOGGING.
Sembra quasi una presa per il culo, no? Infatti, conoscendo bene l’umorismo tremendamente secco dei nostri amichetti inglesi, tenderei proprio a non escluderlo. Il tono della prima metà del disco è praticamente fisso, un andamento placidamente isterico (HA!) con un ritmo sostenuto ma non troppo, come se i nostri volessero dirci “questo è quel che facciamo meglio ora, non rompete ulteriormente, grazie”. E non fraintendetemi, funziona pure, nei limiti di quanto uno possa riuscire a distinguere un pezzo dall’altro e a ricordarsene alla fine dei 44 minuti.
Sì ok, Shifting aggiunge un poco di chitarra acustica e un ritornello sempre su quella orecchiabilità mediana che non va oltre l’ascolto piacevole. La delicatamente canticchiabile In Manchester non è una canzone sulla città, bensì un mero pretesto per infilarla nel titolo, che simpaticoni eh?
Sleep-walking è la prima seria eccezione dell’album, portata avanti con un lento andamento inquietante che ricorda non poco vecchi episodi tipo A Touching Display (quanto adoro quel pezzo, non avete idea) più un finale in cui le chitarre si fondono, diventano melma unendosi a un sintetizzatore in sottofondo, squittiscono, si espandono, si contraggono. I maestri del suono non dimenticano mai le lezioni importanti.
Si ritorna poi a sonnecchiare, risvegliandosi dopo poco con quel che è davvero il pezzo forte del disco, Split Your Ends, con un ritornello che finalmente sfoggia pienamente la distorsione di Colin, ci sputa un testo politicamente infarcito di riferimenti fin troppo chiari alla situazione attuale e ti si attacca subito nel cervello.
Harpooned conclude con un altro pezzo bello corposo e lungo, più stabile e metalloso di tutto il resto, come li fanno loro davvero non riescono a nessun’altro.

Seguirà una seconda release di una decina di pezzi registrati nella stessa sessione, probabilmente il prossimo anno. Personalmente potrei dire, citando lo stesso Newman, che i Wire stanno andando da qualche parte, magari non sanno neanche loro dove, ma se al quattordicesimo album da studio c’è ancora curiosità da parte nostra, allora bisogna proprio continuare a seguirli.

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