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BOBO RONDELLI – Metarock, Marina di Pisa, 11 agosto 2015

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“C’ho la botta”. Inizia così il concerto di Bobo Rondelli a Marina di Pisa, a pochi passi dalle onde del mare che si infrangono a riva, nella cornice consolidata del festival pisano Metarock, che da anni offre concerti a prezzi contenuti e musicisti spesso eccellenti. E poi incalza con l’ukulele e “Il cielo è di tutti”, rivisitazione musicale trascinante della poesia di Gianni Rodari, che serve a declinare la poetica del cantautore livornese e sfuma in “Who do you love” di Bo Diddley per una serata che sarà ricca di citazioni e cover.

C’ha la botta ma è in forma, Bobo, con la canottierina d’ordinanza e quel suo fare guascone e debordante. Una maschera per la sua sensibilità di poeta vera, che emerge nell’omaggio contenuto nell’ultimo disco a Emanuel Carnevali, poeta italiano “morto di fame nelle cucine d’America”, un maudit nostrano già omaggiato da Massimo Volume e a cui Emidio Clementi ha dedicato quest’anno un intero disco con Corrado Nucini. Si vira poi su “Disperati intellettuali ubriaconi” dall’omonimo disco con Stefano Bollani e inizia la girandola spassosa degli intermezzi comici di Bobo, come quando annuncia ‘il singolo dei singoli (nel senso che me lo fo e me lo ascolto da solo)’, “Cielo e terra”, cui fa seguire l’altro emozionante singolo “Qualche volta sogno”. È tutto troppo lirico per Bobo, e riparte via di testa con “La trilogia della topa, sputtanando il lirismo tipico dell’Opera più solenne e scattando col blues di “I’m a man” per accordare la chitarra mentre bestemmia col fonico, poi rincula sulla farsa con “Segreto proibito” e chiude il momento scazzato con “La ventenne” e sproloquiando di Johnny Cash tra gli applausi di un pubblico che gli applaudirebbe anche un’estorsione.
Poi, si torna a fare sul serio ed è la volta di “Hawaii da Shangai”, una “Gigi Balla” strepitosa e “Per amor del cielo” e che gli vuoi dire? Ha pieno controllo dei ritmi del palco e alterna perfettamente comicità a pura emozione, passano i minuti e neppure te ne accorgi tra una risata strepitosa, un applauso convinto e un brivido sottile sulla pelle dell’anima. Poi spazio per un paio di proclami da piazza, ricordando a Renzi che gli operai ci saranno sempre, ricordando il dramma dei migranti e gridando che ‘Dio è topa’ in preda a una visione profetica della verità ultima. E poi spara “La marmellata” stracantata dal pubblico in visibilio. È il preludio a un’altra fase del concerto, che inizia con “Un bimbo sul leone” di Celentano, ben molleggiata, e darà spazio a canzoni che declinano l’amore e la stortura.
“Ho picchiato la testa” è splendida, perfetta, avvolta di quella malinconia salmastrosa e scanzonata che è tipica di Bobo, “Tieni il mio amore” da brividi e il pubblico abbassa i toni, Bobo li rialza con “Guarda che luna” di Buscaglione e li riabbassa nei commossi minuti di “Nara F.”, delicatissimo omaggio alla madre scomparsa che Bobo canta tenendosi stretto tra le braccia, cullando sogni e fantasmi dentro questa fantasia di paradiso che è l’eterno amore materno. Poi, pura avanguardia per un livornese in trasferta nell’ostile Pisa, canta il suo inno d’amore per Livorno “Madame Sitrì” e spara la bella “Maestro Goldszmith”. Ed è la volta della “Checca Nacchera”, boutade disco-trans (passatemi il sottogenere rondelliano) che genera tripudio assoluto sul palco, il migliore scherzo rondelliano della serata con vere e proprie bordate a Piero Pelù, Platinette e tutti coloro disposti a vendersi a un sistema mediatico marcio. Ma si torna subito all’emozione collettiva generata da “Il paradiso”, mentre compare lo spirito di Mastroiannie con Bobo che ormai si offre quotidianamente come medium, e si chiude con “Licantropi”, altro cavallo di battaglia che chiude il concerto “ufficiale” tra applausi ormai automatici eppure sempre più partecipati emotivamente.

Poi Bobo spara lì tre cover micidiali, italianizzando “New England” di Billy Bragg, “I don’t wanna grow up” di Tom Waits e “No Fun” di Iggy Pop & The Stooges, ma ormai il tripudio è generalizzato e bene fa a chiudere con la musica del Banco di Mutuo Soccorso, che suonarono al Metarock anni fa e i cui fan dopo aver perso Francesco Di Giacomo soffrono le cattive notizie circa la salute di Vittorio Nocenzi. “Non mi rompete” sparata dall’impianto audio sul pubblico ha chiuso con una punta di solenne lirismo una serata dominata dalla verve di Bobo, che appare in stato di grazia e che, come Gigi Balla balla di dolore e si fa sommergere di applausi, ma poi sembra sempre torni a casa più malinconico di prima, e gli si vuole tutti bene soprattutto per questo. Un bene che non vuoi soltanto a un cantautore, né tantomeno a un poeta, quanto a un capopopolo. E Bobo lo è di tutti gli storti, che siano persone, momenti e sentimenti.

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