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Bachi Da Pietra – Necroide

2015 - La Tempesta Dischi
metal / sperimentale

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Tracklist

01 – Black Metal Il Mio Folk
02 – Slayer & The Family Stone
03 – Fascite Necroide
04 – Tarli Mai
05 – Voodooviking
06 – Apocalinsect
07 – Virus Del Male
08 – Feccia Rozza
09 – Cofani Funebri
10 – Sepolta Viva
11- Danza Macabra

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Il cammino iniziato dieci anni fa dai Bachi da Pietra era un cammino fatto di silenzio distorto, di cupezza e cupidigia umane spiate attraverso una lente sporca, un sentiero ricoperto dalle interiora del folk, del cantautorato, della forma canzone vomitata da un insetto ricoperto di ruggine. Ed è sempre stato in qualche modo in salita, o almeno così l’ho sempre percepito io.

L’arrivo, nel 2013, di “Quintale” segna una svolta importante: la pesantezza strisciante presente nei dischi della creatura di Succi e Dorella prende forma reale e peso consistente. La violenza mostra pugni ricoperti di piombo, sconquassa la terra, fa vibrare lo stomaco. Il duo ha però altre “armi” da mostrare, altri sganassoni da donare con vera classe sul volto e sulle orecchie di chi li ha seguiti in questi dieci anni di pellegrinaggio nelle acque più torbide dell’animo umano.

Dunque arriva “Necroide” e la violenza di cui sopra smette di menar pugni e digrigna denti neri, lucenti, affilati e li affonda nella carne viva. Diventa immediatamente chiaro l’intento: ringraziare e tributare le proprie brutali origini metal. Se per Hunter Hunt-Hendrix dei Liturgy “il black metal rappresenta la sconfitta della controcultura e l’ascesa dell’estetica” e “l’estetica è la resurrezione dell’aura e l’affermazione del potere del significato del significare” per Giovanni Succi il “Black metal è il mio folk”, e il significato del significare è più vivo che mai, e la sconfitta della controcultura si affianca alla sconfitta di Madre Cultura, dell’occidente tranquillo ed evoca spettri incazzati neri, lo fa con chitarre che dal metallo nero mutuano il gelo e la tensione affilata, mentre il sabba ritmico spezza le tibie, mentre dell’estetica non vi è traccia, anzi, brutti, sporchi e cattivi al naturale; le successive canzoni sono “Slayer-centriche”, “Slayer & The Family Stone” sviscera l’Araya pensiero della morte e lo ammanta di brutalità funkeggianti di batteria, mentre la chitarra fa la parte del “diabolus in musica” e finisce per aprirsi in uno splendido coro blaxpotation soulfuleggiante; invece “Fascite Necroide” saluta la dipartita di Jeff Hanneman e il morbo che se l’è portato via e lo fa con una sberla thrash d’altri tempi (che l’attuale incarnazione della band di King e soci dovrebbe prendere ad esempio).
Non manca una certa dose d’umorismo che si palesa nell’uso del vocoder dell’estremamente compressa (i suoni mi ricordano quelli di “Carboniferous” degli Zu, d’altronde c’è Favero dietro al banco mix) “Apocalinsect”, come se il duo volesse menare calci sulle gengive a Kanye West, che ha sdoganato l’uso improprio di questo strumento, e giù fino all’attuale scena rap italiana. Altro spaventoso viaggio nei linguaggi del metal è “Cofani funebri”, dall’incedere talmente doom che pare di sentire i Cathedral in piena botta di disperazione, intanto “Feccia rozza” ci dona un Succi in versione mostruosa e growleggiante a cavallo di una cartella elettrica tirata furiosa, lo scenario di battaglia ideale per tribù sporche di sangue e merda.
Ritorna il silenzio mostruoso di dieci anni fa con “Sepolta viva” e lo fa stuprando blues, folk e il cuore, diventando, assieme alla malinconia elettricità esplosiva di “Virus del male”, uno dei migliori momenti del disco. Nemmeno il peso lirico dell’album è uno scherzo, la differenza sta nel contenuto molto più diretto (metal, appunto) in confronto agli altri dischi dei Bachi, Succi va a briglia sciolta, non si nasconde in nessun fronzolo, è cattivo e feroce ma rimane ancora uno dei migliori songwriter dell’attuale panorama italiano (assieme a Emidio Clementi).

Io invece mi sono dilungato, ma non potevo far altrimenti. I dischi che trasudano morte sono, e saranno sempre, i miei preferiti.

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