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Sun Kil Moon – Universal Themes

2015 - Caldo Verde
songwriting

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Tracklist

1.The Possum
2.Birds Of Flims
3.With A Sort Of Grace I Walked To The Bathroom To Cry
4.Garden Of Lavender
5.Cry Me A River Williamsburg Sleeve Tattoo Blues
6.Ali/Spinks 2
7.Little Rascals
8.This Is My First Day And I’m Indian And I Work at A Gas Station

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Benji, uscito appena 15 mesi prima, aveva messo d’accordo tutti: il pubblico storico, le nuove leve, i nostalgici dei tempi dei Red House Painters. La critica l’ha accolto come un capolavoro – e lo è – e molti hanno dichiarato di aver “fatto pace con Kozelek” grazie a questo disco.

Universal Themes, sebbene sia la perfetta prosecuzione di Benji, riporterà probabilmente un po’ di calma attorno al progetto Sun Kil Moon. Il successo del 2014, la comparsata in Youth, le polemiche con i War on Drugs e con la giornalista di pitchfork hanno rappresentato un apice di popolarità destinato inevitabilmente a scendere, alla velocità del web.
Benji era strutturato e rifinito, un diario fatto di pagine autobiografiche, di vicende quotidiane raccontate con enorme sincerità, un flusso di coscienza che era stato incanalato, ordinato, racchiuso in un progetto, musicale e narrativo.
A Universal Themes, invece, questa strutturazione manca del tutto. È sempre un flusso di coscienza, ma senza nessun progetto, senza tirarne le fila. Benji era un capolavoro compiuto; Universal Themes reitera la stessa formula, ma senza nessuna barriera contenitiva, senza nessuno schema.
Musica e parole strabordano, in alcuni momenti la struttura-canzone sembra assumere quella di un medley: tra una strofa in rap-cantato e un ritornello può comparire come un intermezzo, un arpeggio di chitarra, un inserto strumentale completamente estraneo alla dinamica del brano.
Ne è un esempio il brano d’apertura (The Possum) che narra la storia della morte di un Opossum, inserendo in mezzo il racconto di un concerto dei Godflesh: Kozelek canta-rappa-racconta, vomitando parole alla velocità della luce, per poi fermarsi di colpo, come a voler riprender fiato, e la canzone cambia del tutto. Arpeggi da primi Sun Kil Moon, Kozelek parla, canta, poi accenna a una telefonata con Sorrentino e si lancia in un assolo di chitarra classica appiccicato lì, come in un collage raffazzonato.
Succede in quasi tutti i brani e, se al primo ascolto la cosa lascia un po’ perplessi, andando in fondo è forse l’aspetto più innovativo e interessante del disco. Il flusso di coscienza, il racconto di piccole vicende quotidiane che diventano universal themes, trova la sua espressione massima in questo mix fatto di un rap masticato, parole mangiate, sputacchiate fuori come se Kozelek parlasse a bocca piena. E gli intermezzi, le parti strumentali, fanno parte di un racconto che asseconda un flusso che in quel momento necessitava di uno strappo.
La quiete di Birds of Flims (il pezzo più delicato, insieme a Garden of Lavander), viene seguita dall’elettricità rovente di With a sort of Grace I Walked to the Bathroom to Cry. Una chitarrona che potrebbe essere suonata da Josh Homme, il rap-cantato si interrompe per lasciare spazio a un assolo blues acido, poi Kozelek riprende la parola, parla, riparte il chitarrone. Schizofrenia.
Ma se davvero c’è un brano che risalta più di tutti gli altri è Little Rascal: un solo giro, efficacissimo, di chitarra sopra al quale vengono vomitate parole su parole, interrotte solamente dai soliti intermezzi strumentali.

Accolto con un entusiasmo infinitamente minore rispetto a Benji, Universal Themes ne è il capitolo successivo, quello meno fruibile, ma che ha spostato l’asticella più in alto: il nuovo modo di cantare, la non-struttura dei brani mostrano come Kozelek si sia spinto in una direzione nuova e inesplorata.

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