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Eagles Of Death Metal – Zipper Down

2015 - Downtown Recordings
stoner / hard-rock

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Tracklist

1. Complexity
2. Silverlake (K.S.O.F.M.)
3. Got a Woman
4. I Love You All The Time
5. Oh Girl
6. Got the Power
7. Skin Tight Boogie
8. Got a Woman (slight return)
9. The Deuce
10. Save a Prayer (Duran Duran cover)
11. The Reverend

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Il rock’n’roll, dall’alba dei tempi della musica, si pone come punto di riferimento indiscusso per stile, genere e quant’altro. È stranoto il fatto che gli esempi di coloro che si sono fatti portavoce di generazioni intere siano stati tantissimi, inutile anche soffermarsi su questo aspetto, partendo da Elvis giungendo a dei veri e propri personaggi vissuti in tempi più o meno recenti. È vero anche che il genere in questione, oggi come oggi, non è più tanto visto come una volta, le evoluzioni, come è giusto che sia, ci sono state anche su questo versante per cui, ovviamente, si tende a preferire sempre il lato sperimentale, quello che prevede delle variazioni, piuttosto che quello su cui si insiste. Ecco, se partiamo da un presupposto simile, penso sia bene che qualcuno, possibilmente di convincente, spieghi questo concetto a quei due bei ragazzoni noti come Eagles Of Death Metal, Jesse Hughes e Josh Homme. Particolarmente quest’ultimo, è indiscutibile, rappresenta da vent’anni una figura di un certo calibro, è come quella divinità egizia che tutto quello che tocca diventa oro, però evidentemente entrambi non hanno capito che il tempo è volato anche per loro e che i baffoni e il ciuffone, dopo che li si propone per anni or sono, un po’ stancano.

Le aquile, senza particolare preavviso, tornano a volare dopo sette, e dico sette, anni di assenze dalle scene (Heart On è del 2008). Molti avranno certamente pensato che si sia trattato di un’esperienza-passatempo per i due simpaticoni, invece, dando tempo al tempo, sono arrivati dal nulla ufficializzando la loro quarta fatica in studio, Zipper Down. Il disco, come suppongo si sia già compreso, non trasuda chissà quale forma di fantasticheria o genialità, non è un album che, esattamente come gli altri “partoriti” sin ora, pone nell’immaginario collettivo la band come tra le più vivaci e ironiche in circolo dai primi anni duemila a questa parte. Brani come I Love You All The Time o ancora Oh Girl rendono più vivida, per quanto assurda, la vicinanza dei due al pop, quello che stanca non molto dopo aver intrapreso l’ascolto. E questo è di una tristezza incommensurabile. L’antifona la si percepisce già dal brano di apertura, Complexity, la quale esordisce con la sagace batteria di Homme e non si evolve in chissà quale modo particolare, perde di mordente poco dopo. Qualcosa di interessante, nonostante quanto detto, c’è: la cover di Save A Prayer dei Duran Duran (per molti sarà blasfemo e impensabile ma forse è anche meglio della versione originale!). Si fa notare più che altro per la ritmica, lenta e piacevolmente cadenzata, per il diverso cantato di Hughes, più pulito e lineare rispetto al resto, e perché ovviamente è un brano dei Duran Duran quindi tanta roba a priori.

Morale della favola? Una band che potrebbe dare e fare tanto, tantissimo, e invece si riduce ad insistere più sul personaggio che si è creato che sul resto. Zipper Down rasenta a malapena la sufficienza, a mio modestissimo parere, proprio per questo, è un lavoro di una band-colosso ma non ben fatto, che stufa principalmente perche chi ama e segue la band dagli esordi si lascia cullare dai vecchi dischi, quelli “delle cose serie” (e quando questo avviene non è positivo perché implica un vuoto non indifferente lasciato dai nuovi). Il duo statunitense è ricomparso come per magia quest’anno (in Italia, almeno, con due live “premonitori” quindi prima che si rendesse ufficiale l’uscita del disco) dopo diversi anni di assenza e tanta attesa ha di certo fatto valutare ai più la possibilità di vederli tornare più pimpanti e in forma che mai, cosa che nostro malgrado non si è rivelata. Sperando non si tratti di una cattiva piega presa da Josh Homme, sarebbe terribile se anche i QOTSA immiserissero così.

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