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Black Breath – Slaves Beyond Death

2015 - Southern Lord
death / thrash

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Tracklist

1. Pleasure, Pain, Disease
2. Slaves Beyond Death
3. Reaping Flesh
4. Seed Of Cain
5. Arc Of Violence
6. A Place Of Insane Cruelty
7. Burning Hate
8. Chains Of The Afterlife

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Non riesco a identificare bene quale possa essere il motivo, ma è fin dal primo ascolto che ho sempre avuto una fiducia incrollabile nei Black Breath. Sarà per la loro aggressività diretta e senza fronzoli, sarà che non stanno lì a perdere tempo ma ti danno subito quella dose giornaliera di violenza death old school necessaria per campare senza uccidere il prossimo, boh, ma tant’è. Son sempre stato sicuro che sarebbero arrivati in breve tempo a produrre qualcosa che difficilmente sarebbe sparito dal mio lettore mp3 e infatti, eccoli qua.

Dopo l’esordio con quella pezza clamorosa che è stata Heavy Breathing e il discreto seguito, son passati tre anni ed eccoli che non hanno tradito le mie aspettative, presentandosi col loro miglior lavoro, Slaves Beyond Death.

Qui portano a fruizione tutto ciò che hanno imparato sui palchi di mezzo mondo con un misto nero come la pece di riff granitici, tempi medi, arpeggi melodici e blast-beat da scassarsi il collo. Vi basterà un veloce ascolto alla macinasassi Reaping Flesh o al doppio assalto chitarristico di Palm e Wallace su Seed of Cain, che si apre, invece, su un piacevolissimo tappeto acustico che ricorda non poco i Judas Priest di Sad Wings of Destiny (così pure il basso della strumentale Chains of the Afterlife).  I washingtoniani  scelgono di ridurre i pezzi rispetto al passato, aumentando però proporzionalmente il minutaggio, spesso giustificato solo dalle introduzioni. Potrebbe sembrare che stia sottolineando la cosa solo in senso negativo, ma in realtà son davvero gradevoli, sicuramente inutili ai fini del discorso death/trash portato avanti dai nostri, ma checcefrega. I cinque non tentano di incorporare il melodico nei pezzi, a parte l’arpeggio di chitarra in Burning Hate, le cose son tenute sempre strettamente separate.
La chiusura con la strumentale Chains of the Afterlife cambia un po’ le carte in tavola, optando per un ritmo lento, una serie di assoli di chitarra e un andazzo a tratti quasi da Savatage.

Chissà se per il futuro lavoreranno anche su questo fronte, per ora Slaves Beyond Death è una delle migliori uscite dell’anno nel campo death/trash, perfetta per chi vuole spezzarsi il collo e, perché no, pure rilassarsi ogni tanto.

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