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Interviste

Intervista agli INFECTION CODE

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Quindici anni sono tanti per chiunque. “Grazie al cazzo”, direte voi. Invece no, grazie al cazzo un corno. Per noi musicisti quindici anni sono un’eternità. Un’eternità che passiamo a tentare d’esistere, anzi, a continuare ad esistere. Non sono la stessa faccenda, e non è facile. Per nulla. Li passiamo a divorarci il fegato, a sanguinare sugli strumenti, a sudarci negli occhi che poi dal vivo non vedi né il pubblico né quello che fai, a incunearci nella giungla infinita di un mondo che assume proporzioni bibliche grazie/a causa del deep web, e in mezzo un enorme aracnide meccanico pronto a mangiarci appena ci fermiamo, appena tentiamo di tirare il fiato. Allora meglio non farlo, meglio guardare avanti e adattare il corpo al pensiero, muovendoci distruggendo, creando, respirando dolore e inspirando noi stessi.

(clicca qui per la recensione di “00:15 – L’Avanguardia Industriale)

Gli Infection Code arrivano ai loro primi quindici anni d’età. Come vi sentite in questa sorta di “seconda adolescenza”?
Non saprei dirti come ci sentiamo. Non saprei definire bene questo spazio temporale-umorale. Se è una seconda giovinezza oppure una prima vecchiaia, anzi prima maturità. Ci sono differenze sostanziali per come facciamo ora le cose, tipo scrivere, suonare, registrate rispetto a dieci, quindici anni fa. L’approccio è sostanzialmente diverso ma l’attitudine e la passione rimangono immutabili. Come la passione e l’abnegazione che investiamo da anni in questo progetto. Non sono cambiate nell’approccio alla musica, sono cambiati i modi forse. L’entusiasmo è quello degli adolescenti che guardano con occhi diversi quanto sia affascinante  ma allo stesso tempo a volte faticoso stare in una band che non fa canzonette ma porta avanti un progetto piuttosto difficile concettualmente e musicalmente parlando. Non saprei descriverti come ci sentiamo. Sappiamo che andremo avanti ancora per molto. Siamo molto contenti di questo nuovo lavoro. Lo volevamo fare per celebrare la nostra esistenza artistica. Volevamo nuovamente registrare alcuni pezzi che secondo noi in passato non siamo riusciti a far venire fuori come dovevano. Volevamo fare un regalo a chi ci segue ma anche a chi ci tira merda. Per disturbare ancora facendo presenti che siamo duri a morire. Che poi sostanzialmente non ce ne frega nulla. Andiamo avanti per la nostra impervia strada con una line-up coesa, affiatata, decisa, con un manipolo di persone che ci segue e ci sostiene (finalmente dopo anni di tribolazioni abbiamo trovato la quadratura del cerchio anche con il lato più manageriale di questo mondo grazie al supporto di Argonauta Records) e soprattutto con  una serenità che da molto non sentivamo dentro i nostri cuori. Ecco, forse questa è la nostra seconda adolescenza e ci sentiamo più sereni. Ma comunque sempre molto inquieti. Bipolarismo rumorista emotivo.

Qual è l’elemento che trovate più cambiato negli Infection Code? Cosa invece rimane saldo nel vostro dna?
L’attitudine e la voglia di mettere il nostro suono sempre in gioco, in discussione. Avere sempre il dito medio alzato alle cose che abbiamo fatto in passato ed al conformismo imperante che nella musica soprattutto di nicchia serpeggia nell’ombra ma pronto a colpire. Questo è quello che non è mai cambiato negli Infection Code. L’essere sempre in prima linea con noi stessi e con la nostra integrità artistica,genuina e sincera. Non è la stima ed il rispetto reciproco che c’è tra noi. Non è facile stare insieme per oltre quindici anni. Sappiamo quali sono i nostri ruoli, le nostre capacità ed i nostri limiti. E sappiamo che all’interno del gruppo lavoriamo tutti per un obiettivo comune. Fare musica per impedire ai nostri demoni personali di materializzarsi sotto altre forme. Abbiamo avuto la fortuna di trovare un nuovo membro (che poi tanto nuovo membro non è più) che ha calcificato questo legame ed è stato bravo a rendere la nostra musica più personale e visionaria. All’interno degli Infection Code ci sono molti elementi che cambiano per fare in modo che poi tutto rimanga invariato. E’ una circolarità perpetua che si contorce spasmodicamente intorno alla sperimentazione. Alla ricerca di nuove forme di musica pesante e disturbante. Che sia metal, industrial, noise rock, elettronica, ambient. Cambiamo molto, ci piace evolvere od involvere. E questo è un fattore che negli ultimi anni è mutato rispetto al passato. Siamo più spregiudicati per poi ritornare più razionali ed allo stesso tempo istintivi. Istintivi emotivamente caustici ed acidi.

Come nasce l’idea di ricostruire vostri vecchi brani e inserirli nel vostro nuovo EP chiamato “00-15: L’avanguardia industriale”?
Volevamo fare qualcosa di diverso per ‘festeggiare’ la nostra tormentata esistenza su questa terra. Abbiamo sempre pensato che alcuni brani degli album precedenti non fossero usciti nella maniera in cui l’immaginavamo nella nostra testa. Non sono molti ma alcuni rappresentano la nostra storia. Abbiamo fatto una scelta. Non è stato facile ma alla fine I tre pezzi dell’ EP sono quelli che necessitavano di una nuova veste sonora e ci stuzzicava l’idea di arrangiarli nuovamente con nuove partiture, nuovi riffs e suoni più attuali che codificassero gli Infection Code attuali. E poi dal lato pratico avevamo poco tempo per comporre altre cose. Stavamo suonando molto ed il tempo è sempre poco. “Cupavanguardia”, l’inedito presente sull’ EP ha richiesto molto lavoro come pure gli altri tre pezzi. Ma di questi ultimi avevamo già a disposizione almeno la struttura che in parte abbiamo mantenuto. Per il resto li abbiamo abbastanza travolti con la nostra voglia di sperimentare e quindi stravolti. E’ stato bello ed interessante crea una quinta traccia video. Questo non sarebbe potuto avvenire se non ci fosse stato l’estro e la visione artistica del regista Ivan Ferrera che con la sua compagna Emanuela, hanno fatto un lavoro enorme seguendoci per decine di date e registrando tonnellate di filmati per poi tagliarli, cucirli, modificarli e creare un filmato di oltre quarantacinque minuti di immagini distorte, visionarie. Immagini psicotrope di noi che torturiamo il rumore ripreso durante una data a Palazzo Ottolenghi di Asti.

Secondo voi cos’è “l’avanguardia” oggi? Siamo nel 2015 ed è difficile rendere l’idea di un “avanti” e un “futuro”, sicché tutto è oggi e le informazioni traboccano in ogni dove e noi le divoriamo, pretendendo preview in continuazione, voraci a tal punto che sembriamo non volere un domani. Anche l’idea d’industria, che un tempo era vista come progresso, oggi sembra un’idea vetusta.
Probabilmente essere avanguardistici oggi e guardare al futuro significa cogliere l’ unicità nel presente in cui si vive e cercare di compiere azioni diverse e personali. Essere avanguardia anche nei piccoli gesti della nostra mortalità. Essere avanguardia è provarci ad essere unici ed univoci verso un proprio scopo da raggiungere e che ci prefiggiamo di conquistare. Questo è già avanguardistico. In una società massificata e mutuata al nulla sociale e culturale, leggere un libro o scrivere su un pezzo di carta igienica mentre si espleta la funzione cacatoria, un pensiero è già avanguardia. Forse non bisogna guardare troppo lontano e rimanere con i piedi ben saldi al futuro prossimo della giornata e filtrare tutto ciò che ci arriva dall’esterno. Filtrarlo e farlo nostro. Masticarlo, prenderne le sostanze nurtritive per il cervello, digerire il tutto ed espellere le scorie. Nella più totale ignoranza filosofica, sociologica ed antropologica, penso che queste idee di avanguardia e rottura, debbano, in questo preciso momento storico, ricollegarsi ad una sorta di retrospettiva culturale e storica che sappia prendere e carpire l’utile e non il dilettevole dal passato ed attualizzarlo al presente senza troppo preoccuparsi del divenire lontano. L’avanguardia è l’oggi mutuato a ciò che si è fatto ieri essendo se stessi. Oggi l’avanguardia forse è avere meno informazioni a disposizione ma sapere di più. Stessa cosa per quanto riguarda il progresso. Siamo totalmente apatici. Abbiamo tutto e non abbiamo nulla. La tecnologia sta facendo passi enormi sviluppando processi di ricerca in moltissimi settori che non giovano al genere umano. Nell’immediato pensiamo di stare bene e di avere a disposizione molte comodità. Ma nel futuro prossimo queste comodità si trasformeranno in armi usate contro la nostra natura di essere uomini e non ologrammi sbiaditi di noi stessi. Il capitalismo sfrenato ci ha trasformato in queste figure ectoplasmatiche senza anima e cuore.

Ho sempre ricollegato la vostra musica ad una sorta di film più che a composizione altre. Mi spiego meglio: quando ho sentito per la prima volta “Sterile”, disco con cui vi ho conosciuti, ho pensato subito a un ibrido violento tra Tarkovskij, Kubrik e l’orrore strisciante di Carpenter, ditemi che non è un volo pindarico da adolescente.
“Sterile” è un disco davvero difficile. C’è moltissima roba all’interno di quelle canzoni. Molte secondo me non sono state sviluppate al meglio, altre, nel nostro piccolo mondo, sono canzoni che rappresentano lo spaccato ‘infectioncodiano’ del momento. Non voglio essere presuntuoso ma erano e sono buoni pezzi. Forse siamo stati troppo pretenziosi ed abbiamo osato nel cercare di comporre un album che avrebbe potuto avere un po’ meno ma allo stesso tempo avere più cura nei dettagli. Perdona la mia ignoranza cinefila, conosco ed amo Kubrik e Carpenter ma non conosco nulla di Tarkovsjkij, ma gli abbinamenti con i primi due possono essere calzanti, anzi è un onore e non è stato per nulla un volo pindarico da adolescente.

Ultima domanda: cosa vedete nei prossimi quindici anni degli Infection Code?
Vediamo lotta, che continuerà, nella nostra maturità cercando sempre di essere stimolati, entusiasti con la passione e la voglia di metterci in gioco. Saremo più vecchi e logori. Oppure saremo tutti morti.

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