Misura 43 minuti il “fluxus” dell’anima dell’ultima vertigine di questo terzetto australiano ormai di grande culto. 43 minuti che passano come un haiku alla luce del mattino. Dopo un magnum opus come Open (2013), ancora un esercizio di perseveranza, un jazz di spiritualità trascendente da cui scaturiscono, su imperturbabili bordoni di basso e tastiere, variazioni essenziali per pianoforte e percussioni distoniche e vibranti, con incursioni in costellazioni elettroniche di memoria teutonica (da Stockhausen a Schulze).
Lo diresti minimalismo, lo diresti “new age colto”, lo deriveresti dai vari Conrad, Palestine, La Monte Young.
Ma forse è solo il respiro della Grande Madre che ispira maree e glaciazioni in un continuo movimento di rotazione attorno a pochissimi accordi.
Un ascolto impegnativo, per mistici ed insoddisfatti cronici, che forse troveranno un’ora di pace meditabonda.