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Motorpsycho – Here Be Monsters

2016 - Stickman
psych / rock

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Tracklist

1.Sleepwalking
2.Lacuna / Sunrise
3.Running With Scissors
4.I.M.S.
5.Spin, Spin, Spin
6.Sleepwalking Again
7.Big Black Dog

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Basta. No, davvero, basta. A costo di sembrare impopolare, e lo sarò di certo dopo questa recensione, statene pur certi, ma i Motorpsycho non sanno più da che cazzo di parte andare. No, anzi, che dico, lo sanno benissimo. La destinazione si chiama “noia”. Non adiratevi sin da subito, miei cari fan-boys&girls, che altrimenti svegliate gli anziani del palazzo che si sono addormentati ascoltando “Here Be Monsters” mentre girava sul vostro piatto (nella migliore delle ipotesi).

Non fraintendetemi, io ADORO i Motorpsycho, al punto che, quando ho scoperto che sarebbe uscito questo disco sono tornato credente per un attimo e ho pregato affinché non fosse l’ennesima boriosa colata di prog-psichedelico seventies addicted che i Nostri norvegesi preferiti ci propinano da dieci anni a questa parte. Io là mi son fermato, con il cuore, a quel capolavoro che fu “Black Hole/Black Canvas” mentre con le orecchie mi sono sorbito tutto il resto, un po’ illuso dalle aperture al passato (ma neanche tante a ben vedere) di “The Death Defying Unicorn”, e, ogni volta, pronto a ricredermi sul loro conto, puntualmente smentito. Badate bene, questi dischi sono tutt’altro che brutti o mal fatti, sarei pazzo ad asserire ciò, ma non basta.

Il tutto inizia con il piano soporifero di “Sleepwalkin” (mai titolo fu più azzeccato), e sai già come andrà a finire. Il formidabile giro di basso di “Lacuna/Sunrise” non è sufficiente a togliermi di dosso questi fastidiosi rimandi ai Pink Floyd, soprattutto quando entrano voce e cori. Non cambia nulla nemmeno con la successiva “Running With Scissors”, e anche qui non mi bastano i richiami ai suoni e alle melodie melense di certi lavori dei Jaga Jazzist, non riesco, non ce la faccio a sopportare qualcosa di così prolisso e senz’anima. Arrabbiatevi, fate pure, ma lo spirito degli ‘psycho risiede altrove. Un attimo di movimento lo ritroviamo su “I.M.S.”, il piano spacca e tira dritto, i soli s’inerpicano sulla nuca fino alle orecchie, e il fuzz torna a farci un saluto, peccato che più di sette minuti di ‘sta roba uccidono. No, perché, non è che i Nostri abbian mai lesinato sul minutaggio delle canzoni solo che se su “Demon Box” il passare del tempo era quasi del tutto impercettibile, qui invece si parla di legarsi due palle di piombo alle orecchie. E se a voi piace nulla da dire, a me no. L’incipit di “Big Black Dog” mi fa quasi commuovere, penso che siam di nuovo nel posto giusto, e invece no, è solo un’illusione e altri 17 minuti di Pink Floyd sotto l’egida stracciacazzi di Gilmour (sempre più impopolare) fanno definitivamente a pezzi la mia pazienza. La cover di “Spin Spin Spin” di Terry Callier non la voglio neanche nominare. Anzi la nomino ma non ne parlo.

Ma che poi ‘sto disco è pure suonato e prodotto da Dio! Mica roba da pivelli. Ad ogni modo, non sono un amante dell’amarcord tout court ma lasciatemelo dire: i Motorpsycho erano meglio quando non sapevano suonare.

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