Un discone monumentale, quasi un’ora e un quarto di musica, 8 brani che sono altrettante maratone in cinemascope attraverso le tundre boreali nordamericane. Factotum del progetto è il multistrumentista Brock Tatich, che canta, suona chitarra, tastiere, basso e programma drum machine come un invasato Varg Vikerness yankee. Spalma il sound marcio e bidimensionale del black metal classico lungo progressioni piene di assolvenze, ouverture strumentali, ampiezze sinfoniche e code sonore che arrivano all’apoteosi nei 14 minuti di The Tower of Babel: epopea che ingigantisce Dimmu Borgir e Opeth sotto una lente distorta da freak di Haight-Ashbury in overdose di doom macerato e dolente. Poche idee, ma ben chiare; rabbia eppure tanta melodia, grande ambizione ma ben sorretta da una stentorea solidità strumentale, che a tratti cede alla tentazione descrittiva di ridondanti sfondi da soundtrack, come nei 10 minuti di wha-wha lussureggiante in Adaption: un piccolo Gilmour in corpse paint.
Mica male però.