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Death Grips – Bottomless Pit

2016 - Autoproduzione
hip-hop / sperimentale

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Nati dal nulla, spazzato via il concetto di alt hip-hop a calci sulle gengive, morti a caso prima di un super tour assieme ai Nine Inch Nails e ora risorti. I Death Grips sono un fottuto dilemma. Cazzi sulle copertine, violenza inusitata persino per il più lercio e fottuto hardcorer in circolazione, ti lasciano lì senza fiato, tra dischi eccezionali e grossi punti interrogativi. Zach Hill, MC Ride (al secolo Stefan Burnett) ed Andy Morin decidono di tornare ad armi spianate con “Bottomless Pit”. E sono oltre la barricata, anche in confronto alle psicosi del primo, allucinante, “Exmilitary”.

Ti si gira il cervello al contrario a metter su un disco come questo, che più che un album è un vaso di Pandora con su piazzata l’etichetta “se lo apri sono affari tuoi e forse alla fine ti saltano le merdose coronarie”. Ti attaccano al muro sensazioni di pura ansia e disagio a livelli osceni, che manco gli stessi Hella, la distruzione prende forma di mix allegorico dell’apocalisse hip-hop, la morte intrinseca del genere sotto cannonate di rumore e virulenza ancora intaccate fino a rendere irrilevante tutto il resto, i brani rotolano fuori dalle cuffie (o dalle casse) come una colata di vomito bollente e ti ritrovi a nuotarci dentro in preda alle convulsioni, e non sai se chiedere “aiuto” o “ancora”. Piazzano misture aliene di Dark Throne, Yeah Yeah Yeahs e MF Doom impazzito sotto i colpi delle anfetamine (l’opener “Giving Bad People Good Ideas” mi ha letteralmente ucciso, e sono tornato in vita solo per scrivere), fiocinate hardcore punk in delirio da psicosi (la title-track lo piazza su per il culo di tutte queste banducole pseudo hc in giro oggi), sovradosaggi noise in tempi allucinanti (“Hot Head” è prima disagio poi dancefloor all’inferno), sintomi di d’n’b grindificata, tra Goth Trad e An Albatross (“Spikes” e l’infinita “Bubbles Buried In The Jungle”), afflati electro che portano l’equilibrio nell’anima (la splendida e super hip-hop “Eh”, la malata “Houdini” e ancora la cartella flawfull “BB Poison”) e una tecnica lirica che definire astratta è un eufemismo, ed è pure riduttivo, dato il labirinto di parole inanellato da Ride, gridato con brutale foga nel microfono fino a scioglierlo.

Non so neanche come chiudere questo pezzo, danneggiato come sono dall’ascolto di questo disco. Immaginatevi una frase di chiusura ideale, ma fatelo prima di metterlo su, altrimenti…

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