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Anohni, Chihei Hatakeyama & Dirk Serries, Cavern Of Anti-Matter: Viaggio al termine della notte #23

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“La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte”

Questa è una delle frasi più celebri del romanzo Viaggio al termine della notte, scritto da Louis-Ferdinand Céline nel 1932.
A volte, non è solo la vita a perdersi in qualche frammento della notte, ma anche la musica. Con l’avanzamento dell’era tecnologica, la quantità di uscite musicali è aumentata notevolmente, portando tutti i vantaggi e svantaggi del caso. Uno dei principali svantaggi è proprio quello di perdere tante piccole perle musicali nella notte della rete. La rubrica è quindi una riscoperta di tutto quello che nei giorni o mesi passati, non ha trovato spazio tra le pagine di Impatto Sonoro e che vi viene proposto come il biglietto per un lungo viaggio musicale. In ogni uscita parleremo di cinque tappe che riscopriamo assieme a voi. Non vi resta che partire e ricordarvi che la cocaina non è che un passatempo per capistazione.

A cura di Fabio Gallato.

Anohni – Hopelessness
(Secretly Canadian, 2016)

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Dev’essere stato un incontro speciale quello tra Antony Hegarty e le mani gelide di Ross Birchard (Hudson Mohawke) e Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never). Anohni, ennesima (ultima?) trasformazione di una carriera tanto intensa quanto unica, arriva a 6 anni di distanza da quel “Swanlights” che aveva lasciato intravedere i primi segnali di stanchezza nel bruciante percorso artistico della cantante transgender con i suoi The Johnsons.
Abbandonate le pomposità orchestrali del passato, “Hopelessness” sfida la sorte tentando di sovvertire gli ideali più frivoli del pop elettronico sciorinando una serie di riflessioni socio-politiche di ampio respiro in un anomalo impianto sonoro, in cui la sacralità e l’estrema emotività della voce dell’artista anglo-americana si sposano con l’elettronica sapiente, discreta e metodica dei due producers.
Ed è proprio questa unione tra due universi sulla carta così paralleli e distanti – il folk e l’art pop con la modern dance più asciutta – a far sì che certe liriche che in altri contesti suonerebbero ingenue e perfino stucchevoli, qui risultino intime, personali, dotate di una carica rivoluzionaria autentica e contagiosa.
Non è però un disco perfetto, “Hopelessness”, anzi: funziona paradossalmente al meglio nei suoi momenti più catchy e improbabili (“Execution”), e perfino in quelli più caciari (“4 Degrees”, “Why Did You Separate Me From My Earth?”), piuttosto che in quelli in cui Birchard e Lopatin cercano di bilanciare metodicamente la loro elettronica con la drammaticità dell’esecuzione della Hegarty (“I Don’t Love You Anymore”), suonando a volte come una sorta di superfluo aggiornamento in chiave sintetica dell’esperienza The Johnsons. “Hopelessness” è però un disco sincero, coraggioso, e visionario, espressione di un cuore triste ma rabbioso, forse già pronto a segnare un tracciato nuovo e importante nell’universo pop.

Chihei Hatakeyama & Dirk Serries – The Storm Of Silence
(Glacial Movements, 2016)

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Opera a 4 mani di due maestri dell’ambient contemporaneo, il belga Dirk Serries e il giapponese Chihei Hatakeyama. “The Storm Of Silence” arriva giusto in tempo per festeggiare i 10 anni di Glacial Movements – etichetta e progetto a firma Alessandro Tedeschi aka Netherworld, ormai un punto di riferimento per la scena ambient mondiale – celebrandone nella maniera più assoluta l’estetica. E se già nella copertina, con quel blu estremizzato nella bellissima fotografia di Bjarne Riesto a ritrarre il Mar Glaciale Artico, c’è la somma cromatica di tutta l’esperienza Glacial Movement, è nelle 4 lunghe suite che compongono il lavoro che si esemplifica magistralmente tutta quella ricerca di equilibrio fra dimensioni sensoriali e ambiente che sta alla base della musica atmosferica. Le diverse attitudini nell’approccio alla materia dei due artisti – surreale ed evocativa quella del belga, più intimista e riflessiva quella del giapponese – si completano e danno vita ad un viaggio attraverso la poetica del gelo, in cui il mutualismo tra soggetto e luogo si realizza di pari passo con il susseguirsi di diversi stati d’animo. In un flusso di visioni continue, “The Storm Of Silence” vive di droni, archi sintetici e sottili variazioni tonali, dipingendo in 40 minuti prima un piacevole senso di abbandono ed estranazione (“Kulde”, “Uvaer”) e poi quell’inquieta malinconia (“Fryst”, “Hvit”) che caratterizza gli ultimi passaggi di un percorso che col passare delle note si fa sempre più intenso, affascinante e significativo.

Cavern Of Anti-Matter – Void Beats/ Invocation Trex
(Duophonic, 2016)

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Ritorno in grandissimo stile per il progetto elettronico dei due ex Stereolab Tim Gane e Joe Dilworth, qui accompagnati dal genio del synth Holger Zapf. A 3 anni dal precedente, e deludente, “Blood Drums” – una piatta e superflua ricerca archeologica nell’universo della musica elettronica – questo secondo capitolo “Void Beats / Invocation Trex” centra stavolta il colpo con precisione tale da inaugurare fin da subito un nuovo percorso nella rivisitazione sperimentale di quell’infinito caleidoscopio elettronico riconducibile fondamentalmente al discorso kraut. In una continua celebrazione della supremazia analogica, i nostri mettono in moto una macchina letale, fatta di robo-punk, derive psycho-pop, minimalismi sintetici da videogame, degradanti soundtrack di spymovie di serie B, sferragliate industriali e vomitevoli dancefloor di periferia alla bisogna, insomma un mortale groviglio di vibrazioni in cui sanno destreggiarsi solo i fuoriclasse assoluti. I Cavern Of Anti-Matter lo sono alla grande e nei 70 gustosissimi minuti di Void Beats/Invocation Trex sono racchiusi tanti di quei piccoli capolavori da far impallidire.
Per i più intrepidi, i 9 minuti del manifesto “Hi-Hats Bring The Hiss” suoneranno come la colonna sonore della dura vita di tutti i giorni in qualche universo distopico dei più grigi e stronzi. Per gli inguaribili prudenti, le più brevi ma non meno intense “Insect Fear” e soprattutto “Black Glass Action“, saranno momenti perfetti per fantasticare ucronicamente sul garage e sul pop. Per tutti, “Void Beats / Invocation Trex” è fondamentalmente un disco della Madonna.

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