C’è qualcosa di anomalo e magnetico nelle composizioni del chitarrista norvegese Stian Westerhus, qualcosa che ti impedisce di fermare un suo disco neanche in casi di estrema necessità. Stai lì, rapito, a vedere fin dove può spingersi un musicista. É una cosa che mi è capitata più spesso col cinema, con Lynch e Wenders nella fattispecie, che con la musica. Ma, soprattutto, cerchi di capire quanto a fondo può portarti. O quanto in alto. Con il nuovo “Amputation” il viaggio è puramente ascendente, ipnotico ed intenso oltre il limite.
Così le sei tracce di questo piccolo capolavoro si tingono di colori intensi, dall’anima feroce e toccante al tempo stesso, Stian non è solo eccezionale manipolatore sonoro della sei corde e sperimentatore dell’abisso, ma anche voce dal cuore nero e soul, un incontro abbacinante di Bon Iver/Justin Vernon, Nina Simone, Xiu Xiu/Jamie Stewart che prende alla gola e al cuore allo stesso tempo. Tra le pieghe di “Kings Never Sleep” si annida un blues riletto in chiave aliena, come un canto di schiavitù e liberazione composto su un pianeta lontano, pregno di sofferenza cristallina, “How Long” è immersione nelle profonde acque di un jazz elettrostatico figlio tanto infame quanto splendido della Signora Nera Simone piagato da un infinito dolore delicato e soulful. Ai due movimenti della title-track tocca il compito di riportarci in un inferno noise e senza luce, infestato da colate di cemento armato elettrificato, malvagio e industriale, pesante come Westerhus è riuscito ad essere coi suoi Monolithic, nei suoi silenzi maligni e nelle deleterie esplosioni di rumore. Il silenzio diventa caratteristica predominante in “Sinking Ship” mentre “Infectious Decay” piega al volere dell’assurdo un linguaggio indie-folk inaspettato e, per questo, diecimila volte più bello. E in un attimo ci si rende conto di aver ascoltato il disco quattro o cinque volte di seguito, ammaliati, perduti nelle sensazioni che questo può donare.
Spiazzante bellezza e cuore in frantumi, “Amputation” crescerà ancora e non finirà mai di piacervi, sentirete il bisogno di ascoltarlo ancora per capire quanto una voce e una chitarra del tutto asservite alla sperimentazione possano far fremere un sentimento. D’altronde esce per House Of Mithology, etichetta legata agli Ulver, che dei sentimenti sono maestri. Grazie.