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Marracash & Guè Pequeno – Santeria

2016 - Universal
pop / hip-hop

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Tracklist

1. Santeria (prod. Shablo)
2. Money (prod. Don Joe & Mark Hiroshima)
3. Nulla Accade (prod. Marz)
4. Senza Dio (prod. Zef)
5. Salvador Dalì (prod. Charlie Charles)
6. Cosa Mia (prod. Mace)
7. Purdi (prod. Don Joe & Mark Hiroshima)
8. Cantante Italiana (prod. Deleterio)
9. Insta Lova (prod. 2nd Roof)
10. Maledetto Me (prod. 2nd Roof)
11. Scooteroni (prod. Pherro)
12. Tony (prod. 2nd Roof)
13. Quasi Amici (prod. Banf)
14. Film Senza Volume (prod. Shablo)
15. Erba & Wifi (prod. Shablo)

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Dalla pomposa autoreferenzialità del titolo, al singolo apripista “Nulla accade”, ennesimo trionfo del rap formato canzonetta e della collaudatissima formula suoni di libreria pompatissimi + autotune come se piovesse, all’artwork inguardabile (o dovrei forse dire naif…?), tutto lasciava presagire che “Santeria” sarebbe stato un disco piuttosto prevedibile. Ciò è vero solo in parte: infatti a tratti riesce ad essere anche terribilmente noioso, toccando vette di rara bruttezza negli episodi più smaccatamente americanofili.

Sorvolando bellamente sui fasti Hip Hop di un passato morto e sepolto (da loro stessi), la Dogo Gang è oggi uno dei collettivi più amati/ seguiti/ chiacchierati dal pubblico generalista italiano, in particolare da quella fascia che va dalla pre alla tarda adolescenza. Target riconfermato da questa prova in coppia di Marracash e Guè Pequeno, che ripropongono per l’ennesima volta una summa degli stilemi lirici e musicali che li hanno resi celebri. Tutto sa inevitabilmente di già sentito: l’affermazione di sé stessi in qualità di self made men, il genere femminile contemplato solo come carne da pisello, le continue allusioni ai cannabinoidi e alle droghe in generale, l’ostentazione della ricchezza e del successo raggiunti, la celebrazione della (presunta) superiorità del proprio stile e delle proprie skillz. Tutte tematiche che, piaccia o meno, fanno indiscutibilmente parte del gioco del rap, più o meno da quando la Sugar Hill Gang riuscì ad andare oltre le venti copie vendute tra amici e parenti. Il dubbio rimane sempre quanto atteggiamenti del genere possano risultare credibili in un contesto geografico e culturale lontano anni luce da quello originario. Soprattutto quando si infarcisce il tutto con mottate inequivocabilmente italomediose (evitate pure di scomodare l’Accademia della Crusca). Uscite come: “…chiedimi cos’è che nella vita non ho fatto/ ho provato tutto tranne il cazzo…” o “…capo dei capi, vai in tachicardia per la rima/ la tua tipa mi prende per via orale bro, come la tachipirina…” direi che si commentano da sé. A dispetto del respiro internazionale che si vorrebbe dare all’operazione, ricorrendo a numerosi riferimenti all’immaginario criminale latinoamericano (“Tony”, ennesima celebrazione della figura di Tony Montana, a cui negli anni innumerevoli artisti del filone Gangsta rap hanno attinto), all’utilizzo di un improbabile slang ispanico in più di una traccia, nonché al ricalco di sonorità riconducibili alla Trap (in particolare in “Cosa mia”), il provincialismo più becero emerge prepotentemente più o meno in tutte e quindici le tracce che la compongono. Brani come “Money”, “Scooteroni” e “Erba & WiFi” risultano tristemente programmatici fin dal titolo. Ancora peggio quando i due, cercano di buttarla sulla critica alla futilità della fama e dell’amore ai tempi dei social network, rispettivamente in “Purdi” e “Insta Lova”, assolutamente innocue. Anche giocare la carta dell’ironia, non riesce minimamente a risollevare le sorti del disco: “Cantante italiana”, dialogo tra i due incentrato sull’idea le cantanti italiane siano meglio dal punto di vista fisico che musicale, potrebbe anche risultare simpatica, non fosse orbata da una produzione assolutamente monocorde e priva di qualsivoglia spunto interessante. Discorso che, sia ben chiaro, vale per tutto il disco nella sua interezza. Nonostante in cabina di regia si trovino tutti nomi abbastanza noti, da Don Joe a Shablo, passando per Deleterio e Mace, più altri comunque già sentiti nei prodotti targati Dogo, nessuno riesce a confezionare una produzione minimamente originale. Tutto gira attorno a batterie in stile 808, infarcite di suoni brillanti e patinati e naturalmente tonnellate di effetti sulle voci dei due rapper, evidentemente incapaci di azzeccare una nota che sia una. L’apice del cattivo gusto però, lo si raggiunge quando tra una rima spaccona e un ritornello stucchevole, si sposa la causa reggaeton/discotecara: “Salvador Dalì”, malgrado il titolo potenzialmente interessante, farà la felicità di tutti i villaggi turistici e le discoteche estive, da Riccione a Lignano Sabbiadoro. Ed è inutile che i due lancino frecciatine a Fedez e ai Gemelli DiVersi, dato che anche al netto di un ascolto di sfuggita, si evince chiaramente come puntino esattamente allo stesso tipo di audience.

Potrei annoiarvi ulteriormente con qualche pippone su quanto uscite come questa, diano ampio credito alla diceria i rapper dicano solo cazzate e i beat maker siano non-musicisti improvvisati alla meno peggio. Ma trattandosi di un lavoro di cui nessuno, autori compresi, conserverà più la benché minima memoria entro i primi di Ottobre, direi che si può tranquillamente evitare.

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