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Snoop Dogg – COOLAID

2016 - E1 Music
hip-hop / pop

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Tracklist

01. Legend
02. Ten Toes Down
03. Don’t Stop (feat. Too Short)
04. Super Crip
05. Coolaid Man
06. Let Me See Em Up (feat. Swizz Beatz)
07. Point Seen Money Gone (feat. Jeremih)
08. Oh Na Na (feat. Wiz Khalifa)
09. My Carz
10. Two Or More
11. Affiliated (feat. Trick Trick)
12. Feel About Snoop
13. Light It Up (feat. Swizz Beatz)
14. Side Piece
15. Kush Ups (feat. Wiz Khalifa)
16. Double Tap (feat. E-40 & Jazze Pha)
17. Got Those
18. Let the Beat Drop (Celebrate) (feat. Swizz Beatz)
19. What If (feat. Suga Free)
20. Revolution (feat. October London)

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Non bisogna certo avere trascorso l’adolescenza coi pantaloni larghi e il berretto a rovescio per avere idea, anche solo vagamente, di chi sia Snoop Dogg. Personaggio tra i più iconici del proprio genere, la cui fama ha ampiamente travalicato i confini dei media musicali. Ma le teste più strettamente Hip Hop, lo ricordano tra i maggiori esponenti del filone G-Funk, ondata di Rap proveniente dalla costa ovest degli Stati Uniti, caratterizzata da produzioni che richiamavano soprattutto le sonorità care a George Clinton, nella prima metà degli anni ’90. Rap il cui marchio di fabbrica, oltre all’ampio utilizzo dei sintetizzatori, era un’attitudine auto celebrativa, stradaiola e papponeggiante (in una parola: gangsta). Significativo fu il fatto che motore trainante di tale “movimento”, fosse proprio quel Dr. Dre pochi anni prima in forze agli N.W.A.. E fu infatti il pioniere del Gangsta Rap a fungere da pigmalione all’allora giovanissimo Snoop, dando ampissimo spazio al suo flow nasale e ai suoi racconti cantilenati, sul celebre “The Chronic” uscito nel 1992. Per poi l’anno dopo, produrgli per intero il disco d’esordio, l’altrettanto noto “Doggystyle”.

Primi passi di una carriera costantemente sotto i riflettori, che ha spesso frequentato con profitto i salotti della musica da classifica più patinata, sfornando hit multi milionarie e sfociando in molteplici attività parallele. Dalle incursioni nel mondo del cinema (per adulti e non) e della televisione, all’inaugurazione della propria linea d’abbigliamento, fino alla produzione di accessori dedicati ai fumatori di marijuana, il nome e la faccia del rapper losangelino, sono oggi un vero e proprio brand. Al netto di, spiace dirlo, una sequela di lavori meno che mediocri, mai riuscita nemmeno parzialmente, a emulare i fasti della freschezza degli esordi.

Da anni arenato in un’oltranzista riproposizione di stilemi sonori e lirici già abbondantemente inflazionati, l’mc torna nel 2016 con “COOLAID”. Dopo i maldestri tentativi di svecchiamento della propria immagine, abbracciando il Reggae e cambiando addirittura nickname da Dogg a Lion, e in seguito il Funk con “Bush”, uscito l’anno scorso, il Cane torna a fare quello che dovrebbe saper fare meglio: un disco inequivocabilmente Gangsta Rap. Dovrebbe, perché “COOLAID” ci restituisce il bo$$ della West Coast in pessima forma. Sebbene anche la grafica e il font usato per il titolo richiamino da vicino quel “Doggystyle” di cui si è già detto, dell’allegria cafona e dello stile inconfondibile dello Snoop di allora, non restano che pallidi fantasmi. Provato dall’incedere del tempo nella voce e nella scrittura, mai così tristemente ritrita, anziché direttamente al proprio passato, sembra volgere lo sguardo addirittura alla preistoria del Rap. Echi degli anni ’80 risuonano mestamente in “Don’t Stop” (complimenti per la fantasia…) e “Double Tap”, che vanno infatti a riesumare due reperti dell’epoca come Too Short e E-40, entrambi a dir poco anacronistici. Ma nulla cambia quando si fa affiancare da un esponente della “new school” (le virgolette non sono casuali) come Wiz Khalifa: se “Oh Na Na” (la sagra dei titoli ORIGINALISSIMI continua) prosegue con scarso successo nell’operazione nostalgia, “Kush Ups” è una traccia semplicemente brutta, ruffiana e banale. La puzza di cadavere si fa particolarmente intensa quando parte “Two or More”, ennesimo epigono di quella “Rapper’s Delight” che nell’anno del Signore 1978, fece conoscere il Rap anche al di fuori del South Bronx. “My Carz” è addirittura tacciabile di necrofilia: recuperata una bozza da chissà quale polveroso hard disk di J Dilla, si tenta di imbellettarla con dei synth che sanno di posticcio lontano un miglio. Ci sarà pure un motivo se il compianto beatmaker di Detroit, certe cose decise di non pubblicarle no?! E se i nomi di producer come KJ, Bongo (?!), Niggaracci (va beh ma allora ve le cercate…) o Cardo non vi dicono nulla, è assai probabile continueranno a non dirvelo, viste le deboli idee e le fiacche performance qui proposte. Ma anche produttori ben più conosciuti non si sognano minimamente di alzare il livello generale.
E se alla pacchianeria tutta batterie e suoni sintetici messi in loop da Timbaland e Swizz Beatz, che riescono a fare di peggio solo quando si piazzano davanti al microfono, siamo ben abituati, sconforta non poco sentire un Just Blaze così tanto al di sotto dei propri standard. Non è da meno lo stesso Snoop Dogg, la cui opaca performance lascia trasparire oltre a quanto già accennato, un’incredibile svogliatezza. Viene da domandarsi cosa possa spingere un nome così affermato, e già da parecchio tempo approdato a una vita di agi e tranquillità, a imbarcarsi in un’operazione tanto triste e melensa. Che usi le banconote per confezionare e accendersi gli spinelli? Vista l’enorme quantità di THC assunta dal soggetto, potrebbe spiegare questo continuo bisogno di fare cassa.

Insomma non c’è proprio nulla che si possa salvare in questo disco? No. Specie quando dopo un’interminabile serie di money, bitchez, niguz, smoking weed motherfucker, si ha la faccia tosta di chiuderlo facendo il verso a Gil Scott-Heron. In una traccia stucchevole e insopportabilmente retorica, che guarda caso s’intitola “Revolution” (vi ho già parlato del raffinato ermetismo dei titoli vero?). E’ proprio il caso di dirlo: Snoop lascia stare i morti!

https://www.youtube.com/watch?v=LPaB4OM1rTo

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