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Frank Ocean – Blonde

2016 - Boys Don't Cry / Def Jam
r'n'b / hip-hop

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Tracklist

1. Nikes
2. Ivy
3. Pink + White
4. Be Yourself
5. Solo
6. Skyline To
7. Self Control
8. Good Guy
9. Nights
10. Solo (Reprise)
11. Pretty Seet
12. Facebook Story
13. Close to you
14. White Ferrari
15. Seigfried
16. Godspeed
17. Futura Free

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Ma quindi com’è che si chiamerà il nuovo album di Frank Ocean? Quando uscirà? Ed i temi, quali saranno i temi di questo nuovo misterioso lavoro? Ma sticazzi! Il secondo album di Frank Ocean, l’ennesimo rapper che si prende la scena come fosse Adam Smith che sta per cacciare “La ricchezza delle nazioni”, è uscito un po’ a sorpresa e tutti gli addetti ai lavori sono andati in iperventilazione. Ma siete normali? Ok la felicità, il giubilo per l’arrivo di un po’ di musica inedita, ma qui si sta esagerando. Ogni volta che arriva qualcosa di Kanye West ed Action Bronson o, appunto, Frank Ocean, vi sedete in cerchio e cominciate a disquisire di cose che non stanno né in cielo, né in terra. “Il messaggio”. “Il significato nascosto”. “Pubblicazione fondamentale”. “Autore di prim’ordine”. Mi fate venire i brividi.

Il nuovo album di Frank Ocean, “Blonde”, per me è un cesso senza nemmeno le ruote. Non scambierei nemmeno un decimo di secondo di un brano qualsiasi di Rakim o DMX con tutta la produzione di Frank Ocean, miseramente rappresentata da due album “registrati da manuale”, manco fossimo nel 1956. Ammetto di non essere uno che disprezza le “cose nuove”. Ad esempio, anche io mi sono gasato tantissimo quando SpaceX ha cacciato fuori il Falcon 9, però ho continuato ad andare in bagno la mattina, la barba la facevo ugualmente. Questo “Blonde” è probabilmente il più inutile progetto di una qualsiasi natura dai tempi dell’automobile che va “ad acqua”. Un’invenzione che ancora oggi spinge la gente a gridare allo scandalo, al complotto ed al sopruso. Quanto mi piacerebbe lasciare queste persone un’intera giornata insieme a Frank Ocean che intona quella merda immonda di “Nikes” in loop. Inopinabile giustizia.
Però ci sono dei doveri che noi redattori dobbiamo portare a termine. Dobbiamo assicurarci che l’obiettività, questo mostro innaturale che ha guadagnato uno spazio “istituzionale” anche nel mondo della musica, scalando con quella sorta di artigli che si ritrova la piramide della conoscenza, sia garantita ed approvata. Approvata nel senso che, si è obiettivi solo quando qualcuno riconosce in maniera, a sua volta obiettiva, questa stessa obiettività. Altrimenti sei uno che non capisce un cazzo e che parla perché invidioso/rancoroso/Cruciani/Parenzo/Travaglio.  “Blonde” è un disco che evidenzia bene, in maniera quasi ingenua però, il fatto che oggi ha importanza, ancor prima del progetto musicale, il suo potenziale multimediale. Se sei in grado di produrre qualcosa che può essere gestito in maniera piuttosto polivalente, e che quindi può arrivare ad interessare quella vastità di pubblico che una volta investiva in vinili, o che preferisce sonorità in commistione tra soul e hip-hop, allora sei uno forte. Sei bravo.

Ma quanto c’è di valido su “Blonde” al di là di tutto questo marasma di marketing? Poco. Ci sono un paio di guizzi da cantante e qualche righetta di pentagramma ben costruita. Come quando, al vostro compleanno, aprite la vostra scatola regalo, enorme, e non fate altro che tirare fuori cartaccia. In mano vi ritrovate il braccialetto con scritto il vostro nome o una cornice con una vostra foto della prima comunione. Non capisco bene il senso nel fare un album di diciassette brani di questo tipo. Si somigliano un po’ tutti, sono lenti, poveri e sembrano anche “annoiati”, come se qualcuno avesse chiesto in ginocchio a Frank Ocean di registrare “Blonde”. I contenuti, che potrebbero giustificare un disco di questo tono, sono invece piuttosto mediocri, racconti quasi appiccicati sulle note. Se avessi potuto scegliere che tipo di messaggio e come mandarlo ad una nuova generazione di afroamericani, che si trovano a vivere di ricorsi storici in una nazione ancora piena di problematiche sociali come gli Stati Uniti, avrei optato per qualcosa che potesse far capire loro il senso di tutto quello che sta succedendo. Preferirei non prendermi la briga di assecondare o lasciarmi guidare dalle parole di Frank Ocean. “Blonde” vorrebbe in parte raccontare questa brutta storia di disagio che c’è nel rapporto tra i giovani neri e gli adulti bianchi che si trovano a confrontarsi su due piani ancor più differenziati dall’appartenenza a due universi in perenne collisione, quello di quelli incazzati e quello di quelli che dovrebbero bacchettarli o metterli in riga. La protesta civile, non l’avrà sicuramente capito Frank Ocean, è piuttosto difficile da raccontare in mille pagine di libro di storia, quindi, impossibile da far capire in tutte le piccole e mediocri composizioni di “Blonde”.

Sono stato anche troppo accondiscendente verso questo disco. Ho speso anche parole di spessore per dire che non conta un cazzo e che andrebbe venduto a 5 euro sulle bancarelle di Via Sannio. Sarà un successo planetario e per anni risuonerà, come le colonne sonore che accompagnavano i più indimenticabili yoko-geri di Jean Claude Van Damme nei suoi film, nei migliori kebbabari delle più grandi metropoli del mondo. Se volete guardare questo “Blonde” dalla giusta prospettiva, scendete in strada ed andate a comprare un bel kebab, gustatevelo con questo meraviglioso cesso di disco in sottofondo e Peroni fresca nell’altra mano. Già sembra tutto molto più affascinante così.

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