Alla terza prova i Requiem for Paola P. escono a testa alta da un coro musicale che sembra sempre più adagiarsi sulla difficoltà a graffiare l’orecchio dell’ascoltatore e se ne vanno ben lontani.
La matrice potrebbe essere quella dei primi Ministri e di alcuni bei esempi del Teatro degli Orrori, con atmosfere che trasudano un’immagine cupa che non se ne va mai e testi onirici, radicati fino in fondo nell’immaginario di chi scrive. Prendono il mondo reale e lo trascrivono in una complessa ma ben percepibile ragnatela di passaggi, che arriva dalla voce narrante tanto quanto da quella urlante, dando vita ad un’attività descrittiva che trasla i problemi del mondo comune in allegorie profonde. Il suonato sembra inizialmente voler confondere le idee con partenze e ripartenze ma riesce alla fine a quadrare i conti mantenendo una caratteristica fondamentale: nonostante arrivi ad evocare il caos profondo rimane preciso, ordinato. Batteria puntualissima, chitarre che alternano suoni più o meno rabbiosi e si scambiano con rapidità, un basso profondo e maturo che non concede mezzo metro quando non deve.
La colonna sonora di un buon incubo, suonata come si deve.