Ve lo ricordate Voltron? Il robot composto da 5 astronavi a forma di leone? Ecco, benissimo. I Giraffe Tongue Orchestra sono esattamente il Voltron del rock (Sì, ROCK). Per i più sprovveduti che, giunti a questo punto, non hanno idea né di cosa fosse il robot in questione né i GTO urge un identikit: William DuVall (parte delle leggende hardcore Bl’ast e Neon Christ nonché comprimario della seconda venuta degli Alice In Chains), Brent Hinds (mastro di chitarra e voce nei Mastodon), Ben Weinman (mastermind dei The Dillinger Escape Plan), Pete Griffin (bassista reale dietro uno dei personaggi fittizi dei Deathlock, band creata appositamente per la serie animata Metalocalypse, e vi direi ben di guardarla perché è un vero sfizio) e, ultimo ma non meno importante, cazzo, Thomas Pridgen (mostro del groove alla corte dei The Mars Volta). Ok, una volta svelato il cast, evitandovi un viaggio casuale nel web, andiamo al sodo.
“Broken Lines” è il risultato di diversi anni di lavoro e di un’ispirazione spaziale da parte di questa flotta di “pezzi da 100” della musica obliqua degli ultimi 15 anni, almeno. Il bello è lasciare quasi del tutto fuori dalla porta ciò che essi sono altrove. I fan duri e puri (e ben poco aperti a nuovi orizzonti, cosa che ritengo piuttosto assurda in casi come questo) delle formazioni di provenienza di Weinman e Hinds potrebbero trovare parecchio indigesto il contenuto di questo album a dir poco micidiale. Ma poco importa. Ciò che davvero conta, invece, è ciò che traspare, ossia l’urgenza di render noto ai passatisti (o a Marilyn Manson) che il rock non è morto. Anzi, quando a suonarlo è gente così, non solo respira, ma vola altissimo e sgancia bombe a tutto andare.
Così, brani come “Adept Or Die” diventano treni di rock granitico ed ultraepico, con DuVall adepto (per l’appunto) alla corte di Devin Townsend, mentre astronavi di funk alieno scorrazzano per il cielo sparando a tutto volume “Blood Moon”, singolo-colla impietosamente voluttuoso, dal sapore quasi janesaddictioniano, ed “Everyone Gets Everything They Really Want”. Di violenza sontuosa si veste “Back To The Light” che ci mostra una Juliette Lewis ospite graditissima e in gran spolvero, i tempi si stortano duro e la nostra tira fuori una melodia killer mentre DuVall grida senza pietà nel microfono. Altrettanto aggressive sono “Crucifixion”, con Weinman e Hinds a menar deliri di svalvolo puro mandando a memoria la lezione impartita a tutti quanti da Trey Spruance alla corte di Roddy Bottum, e la furiosa “No-One Is Innocent” impreziosita dai cori del chitarrista dei Mastodon. Meno bene (molto meno) quando i nostri cercano la ballata strappamutande con “All We Have Is Now”, ma si fanno subito perdonare a suon di mazzate su “Thieves And Whores”. A chiudere la partita arriva la title track, forgiata negli spettri melodico/allucinanti di “Crack The Skye”, senza scadere nell’autocitazionismo spinto.
A rendere grande un lavoro come “Broken Lines” è il proprio essere mutante senza risultare pesante, ma, soprattutto, non avere l’aspetto di un disco estemporaneo parte di un side project qualunque messo su per riempire il tempo tra impegni “maggiori”. Maturo, pieno zeppo di CANZONI, e non brani buttati lì a caso. Lo spirito degli anni ’90 con l’esperienza dei vent’anni successivi. Lunga vita a Voltron.