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La La Land, di Damien Chazelle

La La Land

Scheda

DATA USCITA: 26 gennaio 2017
GENERE: Commedia, Drammatico, Musicale, Sentimentale
ANNO: 2016
REGIA: Damien Chazelle
ATTORI: Ryan Gosling, Emma Stone, J.K. Simmons, Finn Wittrock, Sonoya Mizuno, Rosemarie DeWitt, Josh Pence, Jason Fuchs
SCENEGGIATURA: Damien Chazelle
FOTOGRAFIA: Linus Sandgren
MONTAGGIO: Tom Cross
MUSICHE: Justin Hurwitz
PRODUZIONE: Black Label Media, Gilbert Films, Impostor Pictures
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution
PAESE: USA
DURATA: 128 Min


Damien Chazelle a soli trentun anni rischia di essere il regista più giovane della storia a vincere un Oscar. Una robetta simile la fece Sam Mendes nell’ormai lontano duemila, quando a trentaquattro anni si portò a casa la statuetta con American Beauty, mentre per il campione in assoluto bisogna andare indietro nel tempo fino al 1931— Norman Taurog con Skyppy.

Tanta statistica si aggiunge alla prepotenza del precedente e primo film di Chazelle, Whiplash, una roba che era tipo Full Metal Jack in conservatorio. Tanto basta per farci alzare il sedere e spostarcelo fino al Cinema per le due ore di La La Land, un musical che dal punto di vista tecnico è qualcosa di eccezionale.

La storia di Mia (Emma Stone) è quella che si è già vista in circa duecentoventisette film americani: una ragazza della provincia, nel nostro caso il Nevada, sogna di diventare un’attrice di successo e per campare fa la barista. Le audizioni le vanno sempre male ma non demorde, sa che ce la potrà fare. È un tipo molto diverso da lei Sebastian (Ryan Gosling), un pianista che è talmente fissato con il jazz da divenire un sociopatico, e che sogna di salvare la sua musica preferita aprendo un locale col nome dedicato a Charlie Parker. I due si incrociano, sono diversi ma gli opposti si attraggono, ed il resto potete immaginarvelo.
C’è una tecnica straordinaria nel film. Lo si capisce fin dalla prima scena ambientata sulla lunghissima rampa autostradale los angelina, girata sotto un caldo infernale e con una roba come quasi un centinaio di stanchi pendolari trasformatisi in ballerini che saltano sui cofani delle proprie automobili.
Di canzoni non ne sbaglia una Justin Hurwitz— compositore sbucato anch’egli da Whiplash, su una variegata serie di brani cuciti sui protagonisti, e City Of Light è il brano che vi portate in testa per almeno una settimana dopo la visione.

La Los Angeles di La La Land è un parco giochi della malinconia hollywoodiana, nel quale i protagonisti vivono citando i classici dell’era dell’oro: campeggia l’iconico volto di Ingrid Bergman nell’appartamento di Mia Dolan, le sue coinquiline sono le ragazze di Grease, Sebastian Wilder cita “Gioventù Ribelle” ed in una scena vanno addirittura a visitarne uno dei luoghi più famosi della pellicola.

Se la tecnica e l’artigianato nel film è da applausi la situazione si complica se si entra nei particolari del trattamento e sulla scrittura dei personaggi. Sebastian Wilder è scritto con l’accetta, si porta dietro una concezione distorta del Jazz: è un tradizionalista alle soglie del maniacale, totalmente inconsapevole della realtà dei fatti— il jazz è un genere in continua rivoluzione e dovrebbe ben saperlo.
Ambiguo, in particolar modo nel finale, il personaggio di Mia che nella sua parabola rispecchia nel bene ma, soprattutto nel male, quelle edulcorate e ben poco credibili principessine del musical dell’oro. Per carità, ai tempi di Stanley Donan roba come il suo Cantando Sotto la Pioggia era e rimarrà un capolavoro eterno del Cinema americano e oltre. Ma nel 2017 La La Land si dimostra quindi tradizionalista nella sostanza oltre che nella forma, in un modo un po’ stupido e bigotto, proprio come il suo protagonista nei confronti del suo genere preferito.

I boulevard di La La Land hanno i colori di un sogno bellissimo, lontani anni luce dalla tragedia politica che affligge oggi il Paese.

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