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The Jesus And Mary Chain – Damage And Joy

2017 - ADA / Warner
alternative rock

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Tracklist

1. Amputation
2. War On Peace
3. All Things Pass
4. Always Sad
5. Song For A Secret
6. The Two Of Us
7. Los Feliz (Blues And Greens)
8. Mood Rider
9. Presidici (Et Chapaquiditch)
10. Get On Home
11. Facing Up To The Facts
12. Simian Split
13. Black And Blues
14. Can't Stop The Rock


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Lieto ritorno? I “morti” dovrebbero rimanere tali? Chi cazzo se ne frega? A voi cari e “caustici” lettori/commentatori seriali l’ardua sentenza. Sta di fatto che The Jesus And Mary Chain sono tornati sulla scena dopo quasi 20 anni di inattività ed è una faccenda che non si può ignorare. Il nuovo “Damage And Joy” riprende il discorso troncato con “Munki” seppellendo una volta per tutte il proprio rumoroso passato e dedicandosi a qualcosa di più delicato, meno diretto, forse, di classe ma…

C’è sempre un “ma” quando giganti di questa caratura escono con un nuovo album dividendo il pubblico in puristi della prima ora e buonisti a tutti i costi e creando un marasma di disagio, cosa che probabilmente i fratelli Reid apprezzerebbero o, in alternativa, li lascerebbe totalmente indifferenti. Io, dal canto mio, sto nel mezzo. Fino al terzo album ho urlato di piacere mentre “Honey’s Dead” in poi ho mollato leggermente il colpo. L’album che mi trovo ora ad ascoltare mi lascia perplesso, talvolta anche in senso buono, ma decisamente non schifato, il che è già un risultato notevole. Non è di certo un ritorno esplosivo, ma poco importa, la classe è rimasta intatta. A mettere le mani sulla produzione troviamo l’ormai onnipresente Martin “Youth” Glover (scelta optata anche dagli Ulver) e i Nostri ringraziano.

Troviamo comunque ottimi momenti sparsi qua e là per il disco, sostenuti dall’agrodolce sapore della nostalgia anni ’90 (ebbene sì) come il chiodo pop rock All Things Pass, pezzo che mostra cicatrici del rumore che fu, assoggettandolo e rendendolo velluto sfocato (in inglese si dice “blur”, nota che inserisco non a caso) e il sollazzante doowoppismo di War On Peace. Caruccio anche il rock’n’roll minimale di Always Sad (forse un po’ troppo sixties, ma è un problema mio) accompagnata dalla calda voce di Bernadette Denning. I duetti non si fermano qui e troviamo nientemeno che Isobel Campbell sia sul rock muscolare ma terribilmente stucchevole di The Two Of Us e su Song For A Secret, brano che rende onore al lirismo della cantante americana, inteso e pregno di epicità scolorita e polverosa.

Di spessore, invece, Los Feliz (Blues And Greens) ballad sospesa tra blues spettrale e pop zuccherino mentre di nessuna utilità è la presenza di Sky Ferreira, attuale musa del redivivo David Lynch, sulla banale ed incolore Black And Blues carica di fastidiosi coretti mccartneyiani. Altro, e forse ultimo, momento alto dell’album è Mood Rider, carica ed elettrica il giusto, che mostra il lato emotivo più consono dei Reid e lo spalmano di power pop spinto a mille, complice un refrain da standing ovation.

Tutto bello, tutto giusto, non fosse che 14 brani che tendono a ripetere ad libitum un canovaccio insistente potrebbero portare talvolta allo skip. Insomma, un comeback di lusso ma senza lo sfarzo della sorpresa, bello ma non splendido, a tratti noioso ma pieno di ottimo spunti che lo portano ad essere un prodotto godibile, anziché no. Si poteva far meglio? Questo è certo. Li buttiamo via? Mai, questi signori sono comunque gli stessi che hanno scritto “Psychocandy”. E forse da lì si potrebbe ripartire ma, d’altronde, che cazzo voglio saperne io?

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