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Colin Stetson – All This I Do For Glory

2017 - 52hz
sperimentale

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Tracklist

1. All This I Do For Glory
2. Like Wolves On The Fold
3. Between Water And Wind
4. Spindrfit
5. In The Clinches
6. The Lure Of The Mine


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Dovremmo essere ormai pressoché abituati ai cambi di rotta intrapresi da questo signore chiamato Colin Stetson, invece ad ogni giro di boa è una sorpresa. Il che è assolutamente un bene. Come dicevo su queste “pagine” in altra sede ciò che in musica non è intuibile porta sempre con sé la bellezza e rischio. Non dando mai per scontato il risultato di un nuovo album ci si può ritrovare in guai grossi, sia nel bene che nel male.

Ciò detto il sassofonista statunitense ha così tanto da offrire e così tante cose che gli passano per la testa che ogni anno se ne vien fuori con un lavoro se non fenomenale decisamente interessante. In questa categoria troviamo, infatti, la collaborazione con la compagnia Sarah Neufeld “Never Were The Way She Was” mentre sul versante opposto, quello delle bombe a mano per intenderci, c’è “Sorrow”, uscito meno di un anno fa. Il rischio che il troppo stroppi è sempre e comunque dietro l’angolo, soprattutto per i musicisti d’avanguardia (leggi Omar Rodriguez-Lopez).

Ma se il chitarrista dei fu Mars Volta e dei redivivi At The Drive-In ha perso ormai da tempo la bussola cagando fuori una sequela infinita di dischi intercambiabili tra di loro, Stetson con questo nuovo “All This I Do For Glory” ha puntato l’attenzione in una direzione specifica non perdendosi in sé stesso e in sbrodolature casuali. I numi tutelari dell’album sono, per stessa sua ammissione, Aphex Twin e gli Autechre il che ci pone dinnanzi a qualcosa di finora inusitato da parte sua. Messe da parte le bestialità puramente jazzcore (tenute in caldo per il progetto “metal” Ex Eye il cui debutto potrebbe vedere la luce già nel corso di quest’anno) il nostro si è concentrato sul minimalismo elettronico delle due Muse di cui sopra per dar vita a qualcosa di speciale.

Sembra, però, che la lampadina si sia accesa con l’ascolto di Enya. Secondo le stesse parole del sassofonista l’album “Shepherd Moons” della compositrice irlandese “mi ha fatto pensare come l’aria venga manipolata nella mia musica.” Ci troviamo quindi tra le mani un lavoro di sperimentazione su rumori che di norma nei dischi vengono ripuliti se non del tutto eliminati ma che di certo ci riportano alla mente i grandi dischi jazz del passato nei quali, complici i pochi soldi e la tecnologia non avanzata in ambito di produzione, ponevano l’attenzione tanto sulla musica quanto sui fruscii e il disturbo di fondo. Protagonista assoluto di questo album è infatti l’uso del fiato, della bocca e della percussività intrinseca delle mani che viaggiano sulle chiavi del sax.

Accantonata l’esplosività dello strumento baritono Stetson si concentra su una messa in luce tellurica delle proprie capacità. Se l’assenza totale di sintetizzatori e macchine potrebbero pensare ad un eccesso di zelo nel chiamare in causa i nomi di cui sopra ci si deve ricredere sin dalla prima nota della title track sostenuta da schiocchi di dita e botte al corpo del sassofono mentre ad intarsiarsi al di sopra della nube ritmica troviamo un tema portante reiterato senza pietà al limite estremo dell’ipnosi. Rigurgiti d’n’b fanno capolino sul feroce velluto di Like Wolves On The Fold che disegna geometrie sonore ad alto potenziale electro e dal quale spunta una voce “cantante” a sorreggere il tutto coronata da colpi, ditate e mazzate sul fil di lana. Spindrift è una cascata luminescente di melodia traboccante acidi irrorata da una miriade di note la cui velocità si incunea tra le sinapsi senza posa tra infernali delay e mistiche ascese al cielo. Di tutt’altra pasta è fatto l’assalto techno di In The Clinches, e ora sì che si sente l’influenza mortifera di sir Richard David James che cavalca a mani protese verso il viso dell’ascoltatore ferendo udito e sensi per due minuti e poco più di violenza. A staccare la spina al lavoro arriva The Lure Of The Mine, altra sassata minimal sì, ma furente e zeppa pretesa di attacco al calor bianco in assenza totale di pause, asfissiante e punitiva.

Non ce ne sarebbe bisogno ma ancora una volta Colin si conferma come uno dei migliori esploratori musicali attualmente in circolazione, pochi ma buoni ma forse vorremmo ce ne fossero di più. Fatto sta che con “All This I Do For Glory” segna un’altra tacca in una discografia ottundente e di sicuro spiazzante, valicando per l’ennesima volta il limite di genere. What’s next?

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