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Methyl Ethel – Everything Is Forgotten

2017 - 4AD
dream pop

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Tracklist

1. Drink Wine
2. Ubu
3. No. 28
4. Femme Maison/One Man House
5. L’Heure des Sorcières
6. Act Of Contrition
7. Groundswell
8. Hyakki Yak?
9. Summer Moon
10. Weeds Through The Rind
11. Schlager


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A solo un anno di distanza dal loro album di debutto, “Oh Inhuman spectacle”, ecco di nuovo i Methyl Ethel. La band australiana si era fatta molto apprezzare per il dream rock a tratti psichedelico che aveva caratterizzato il loro precedente lavoro. Tanti riferimenti ai classici del genere: Cocteau Twins in primis, ma anche a gruppi più recenti come i Beach House, si potevano ritrovare all’interno del loro sound, rielaborati con un piglio personale ed interessante dal punto di vista musicale. Un album a tratti cupo ed ancora molto grezzo, che lasciava trasparire le grandi qualità artistiche del trio di Perth.

Le aspettative per il loro secondo album erano alte, e il breve lasso di tempo trascorso lasciava presagire un’ispirazione creativa molto intensa. I primi brani sono molto solari, “Drinking wine” e “Ubu”, e le sonorità sono molto più curate e meno lo-fi del passato. Una complessiva razionalizzazione che restituisce dei brani freschi, ma allo stesso tempo più uniformati ad un sound già ascoltato. Non che il risultato finale sia sgradevole, ma quel dream rock un po’ ruvido è adesso molto più patinato e modaiolo. Ciò forse anche per merito, o per colpa, del nuovo produttore Jon Ford (già al lavoro con i Foals e gli Acrtic Monkeys) che ha avuto un ruolo di assoluto rilievo nella ridefinizione del suono dei Methyl Ethel. Ci sono molti passaggi degni di nota: belle le variazioni in “no. 28” e il cambio improvviso in minore di “Femme Maison/one man House”, sicuramente il più riuscito. In entrambi i casi si alternano a melodie leggere dei momenti più intimi e introspettivi che danno maggior spessore all’intero lavoro, ritornando a far emergere quella vitalità creativa ed espressiva che caratterizza i Methyl Ethel.

Il resto dell’album scorre morbido in un susseguirsi di armonie curate, che però non riescono ad incidere fin nel profondo. Il lavoro di rifinitura sui suoni ha infatti privato, in un certo senso, le canzoni di quella piacevole ruvidezza che era molto piaciuta nel primo album. D’altronde, già il titolo dell’album in modo sibillino annunciava che “tutto era dimenticato”. Il risultato finale è comunque piacevole, si inserisce in un genere musicale che si distacca dal precedente lavoro, adesso più indirizzato verso l’Art Rock contemporaneo.

Va sottolineato che si tratta una prova buona, che lascia intendere che il terzetto australiano possa riservare belle sorprese per il futuro spaziando anche fra generi musicali diversi tra loro.

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