Impatto Sonoro
Menu

Recensioni

Saltland – A Common Truth

2017 - Constellation Records
pop / classica

Ascolta

Acquista

Tracklist

1. To Allow Us All To Breathe
2. Under My Skin
3. I Only Wish This For You
4. Light Of Mercy
5. Forward Eyes I
6. Magnolia
7. This Other Place
8. A Common Truth
9. Forward Eyes II


Web

Sito Ufficiale
Facebook

Saltland è, dietro corde e legno del suo violoncello, Rebecca Foon, a lungo collaboratrice di Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra e del collettivo Set Fire To Flames. Dalla sua ha un potere incisivo e la ragguardevole capacità di tramutare le emozioni, quelle vere e non la merda posticcia che in tanti ci spacciano oggidì, in composizioni di classe e di livello a dir poco astrale.

Dopo l’incredibile album di debutto “I Thought It Was Us But It Was All Of Us”, pregno di un post rock sperimentale vagliato attraverso la versatilità del suo strumento ed accompagnata da Colin Stetson, tra gli altri, torna con un nuovo album che alza l’asticella di un altro po’, portandoci dritti dritti nel cosmo. Con “A Common Truth” la maturazione artistica della cellista canadese si ammanta di un pop classy di natura superiore. A darle man forte, questa volta, troviamo Jace Lasek, già produttore di Suuns e collaboratore dei Wolf Parade e nientemeno che il braccio destro di Nick Cave Warren Ellis che presta il suo tocco nella scrittura di ben quattro brani, nonché la sua bravura nella veste di violinista.

Nascono così nove brani ammantati di estrema intensità tra i quali spiccano imperiosi la follia in loop e suoni minimali (merito di Ellis) dell’immensa Light Of Mercy vocalmente sorretta da Ian Ilavsky (già dalle parti di Mt. Zion, Carla Bozulich e Jerusalem In My Heart, mica cazzi), l’impetuosamente vellutato pop di Under My Skin, le suite classiche e viscerali Forward Eyes I e To Allow Us All To Breath, gli spettri mediorientali all’ombra di un deserto bagnato da lacrime agrodolci ed evocati sulla devastante Magnolia (che mostra memorie dei lavori per archi di mastro John Zorn), i contrappunti ansiogeni pompati a mille dalla voce a metà tra l’infestato e l’etereo di Rebecca su This Other Place per chiudersi nella disturbante title track, a metà tra rumore esplosivo di chitarre che si aggrovigliano sul violoncello e spettri noise.

La verità è che col silenzio e l’oscurità si possono fare grandi cose e Saltland dimostra di essere, ancora una volta, una vera artigiana delle forme in quasi assenza di suono, tra velluto blu e luci soffuse a piccoli passi ci dona gioielli inestimabili.

Piaciuto l'articolo? Diffondi il verbo!

Altre Recensioni