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Mogwai – Every Country’s Sun

2017 - Rock Action
post-rock

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Tracklist

1. Coolverine
2. Party In The Dark
3. Brain Sweeties
4. Crossing The Road Material
5. aka 47
6. 20 Size
7. 1000 Foot Face
8. Don't Believe The Fife
9. Battered At A Scramble
10. Old Poisons
11. Every Country's Sun


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I Mogwai ci hanno da sempre abituato a giocare con un genere serissimo come il post-rock, dominandolo, ridefinendone più volte i confini, disegnando spesso nuovi orizzonti e prospettando evoluzioni impensabili.

La storia non cambia con il nuovo “Every Country’s Sun”, nono album in carriera per la band scozzese, che nei 3 anni trascorsi dalla pubblicazione del precedente “Rave Tapes” non ha smesso di darsi da fare, dedicandosi a tempo pieno al panorama delle colonne sonore con i documentari “Before The Flood” e “Atomic”, vivide testimonianze di uno stato di forma che lungo più di 20 anni di carriera non ha mai accusato momenti di significativa stanchezza.

Nella genesi del disco non può essere tralasciato l’abbandono dello storico chitarrista e fondatore John Cummings, come allo stesso tempo risulta più che significativo il ritorno di Dave Fridmann, che con i Mogwai non si metteva dietro al mixer dai tempi di “Rock Action”. Ed è proprio da qui che si parte: messe in secondo piano in “Rave Tapes”, così carico di influenze kraut e sintetiche, le deflagranti aperture e gli sterminati landscapes che hanno scritto la storia del genere, tornano a giocare un ruolo da indiscusso protagonista in quello che è essenzialmente un disco post-rock.

Certo, parliamo di un genere che i Mogwai hanno contribuito più di chiunque altro a creare, plasmare, levigare, distruggere, ricostruire e non deve quindi stupire che lungo lo scorrere dei brani facciano talvolta capolino soluzioni a volte anomale e impensabili. Capita dunque di sentirsi a casa tra i prototipi post-rock dell’iniziale Coolverine e della conclusiva title-track, due solide colonne d’Ercole a protezione di un mare di sperimentazioni di ogni tipo, in cui navigare con la consapevolezza che perdersi sarà magnifico. Al contrario, in Party In The Dark i 4 scozzesi giocano a fare il brit-pop mettendo a segno il pezzo più catchy della propria carriera, mentre in altre occasioni sanno invece essere violenti e cacofonici, giostrando tra distorsioni roboanti e sferzate noise che mettono in pista una certa pesantezza venuta a mancare nelle più recenti pubblicazione della band (Battered A Scramble, Old Poisons). C’è poi tutta la passione per le colonne sonore e per un approccio cinematico all’uso dei suoni nelle eteree AK47 e Don’t Believe The Fife, un abbraccio inquietante e misterioso la prima, un crescendo emotivo lungo una passeggiata spaziale la seconda.

Una costante decisiva nello scorrere dei circa 55 minuti di “Every Country’s Sun” è la batteria di un Martin Bulloch in forma straripante, che dipinge attorno agli strumenti dei colleghi un quadro di assoluta precisione e sensibilità: ne sono esempio in questa direzione la marziale e solenne Brain Sweeties, ma pure le più ariose 20 Size e Crossing The Road Material, quest’ultimo il brano più luminoso di un disco che riesce comunque a mettere in scena un ampio ventaglio di stati d’animo, anche per merito del puntuale ma diffuso utilizzo dei synth e di una produzione profonda e minuziosa in grado di esaltare ognuna delle migliaia di sfumature e dinamiche che ad ogni ascolto si fanno sempre più eccitanti.

Non sarà forse il disco migliore della produzione discografica dei Mogwai (anche se ci si avvicina), ma “Every Country’s Sun” si posiziona sicuramente in vetta alle uscite post-rock degli ultimi anni, segnando una prova di forza totale che ristabilisce la dovuta distanza tra i fuoriclasse della materia e tutti gli altri, che come sempre stanno indietro ad inseguire.

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