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Rosetta – Utopioid

2017 - autoproduzione
post rock / post metal

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Tracklist

1. Amnion
2. Intrapartum
3. Neophyte Visionary
4. King Ivory Tower
5. 54543
6. Détente
7. Hypnagogic
8. Qohelet
9. Intramortem


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I Rosetta sono matti. Punto e a capo. Dopo due anni di silenzio ma, soprattutto, dopo un album di una bellezza indescrivibile come “Quintessential Ephemera” è mai possibile che si possa andare ancora oltre? Ebbene sì.

Mentre tutte le band del mondo sbandierano ai quattro venti l’uscita dei propri album, riempiendo il web (e le nostre palle) di teaser, trailer, excerpt, foto misteriose, blackout social e ogni qualsivoglia tipo di cazzata atta semplicemente a gonfiare l’hype, questi cinque ragazzi della Pennsylvania parlano solo quando è il caso di farlo. E noi ringraziamo.

Sì, perché se il risultato è un album come questo “Utopioid” non si può far che chinare la testa e dire “grazie, ragazzi”. Ormai valicato il confine del post-metal, genere totalmente trasceso e trasformato in qualcos’altro dai nostri, e preso il timone di una capacità di costruzione melodica che mancava da queste parti sin dai tempi, ormai non più tanto recenti, degli Isis ma andando a toccare altri lidi post-Turner, come quelli dei Palms, ma ancor meglio, qui lo dico e qui NON lo nego.

Alla barra di comando, oltre ai nostri, troviamo Francisco Botero, già dietro al banco mix su robetta niente male come Mad Love (gruppo pop sontuosissimo e perlopiù ignorato di Trevor Dunn del quale consiglio fortemente l’ascolto), A Storm Of Light e Rival School, pronto a dare a questi nove brani una patina vellutata di quelle che raramente si trovano in questo tipo di produzioni.

La dicotomia chitarre/synth, che va a formare incastri melodici e classy, risplende su brani come 54543 e Amnion e mostra la strada verso mondi lontani. Frammenti di cristallo pop si frantumano per ricomporsi in grida disperate che esplodono impietose nell’incredibile Détente, crescendo immerso in un liquido mutageno di epica fattura. Mai come ora la voce di Mike Armine è stata tanto ispirata e mutevole quanto concentrata nei punti chiave di ogni singolo brano, capace di saltare agilmente da leggiadrie armoniche ad attacchi di rara ferocia ed accompagnata in maniera impeccabile dai cori degli altri componenti della band. L’impatto dream-pop di Hypnagogic è la chiara dimostrazione di questo modus operandi, dipingendo nello spazio vuoto una galassia di colori che molto devono a certa wave anni ’80, un discorso iniziato già nel precedente album ma qui portato a compimento in totale scioltezza.

L’ossatura post rock e mogwaiana di Qohelet viene ben presto mandata in frantumi da un cuneo di cemento armato vomitato dalle chitarre e dall’incedere marziale della sezione ritmica oltre che dal growl mortifero di Armine. Anche quando le canzoni girano ad un voltaggio superiore il tutto si risolve in un afflato di bellezza inusitata, come sugli screzi post-hc di Neophyte Visionary e King Ivory Tower con le loro chitarre ad altissimo tasso emo(tivo) o sul finale corale della distruttivamente vellutata Intrapartum. Se poi ci aggiungiamo il trip tooliano della conclusiva Intramortem il disco si eleva in maniera definitiva a livelli da Champions League del disagio.

Mi tocca ritrattare in parte quanto scrissi sulla recensione di “Quintessential”: se quello fu davvero il superamento di un punto di non ritorno verso lidi di altro, altissimo livello, è proprio con “Utopioid” che i Rosetta arrivano in cima alla propria imbattibilità compositiva in ambito post, e non solo. Fino al prossimo disco.

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