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U2 – Songs Of Experience

2017 - Interscope
pop rock

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Tracklist

1. Love Is All We Have Left
2. Lights Of Home
3. You're The Best Thing About Me
4. Get Out Of Your Own Way
5. American Soul
6. Summer Of Love
7. Red Flag Day
8. The Showman (Little More Better)
9. The Little Things That Give You Away
10. Landlady
11. The Blackout
12. Love Is Bigger Than Anything In Its Way
13. 13 (There Is A Light)


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C’è gente che non sa quando è il momento di smettere e il mondo della musica ne è pieno zeppo, peggio di quello del cinema, il che è tutto dire. Alla stregua di Robert De Niro che si è ridotto a farsi chiamare “Nonno Sporcaccione” siamo circondati da band che nessuno ha il coraggio di chiamare “vecchi scoppiati”.

Voi però potreste anche dirmi: “Ma non tutti i vecchi sono ‘scoppiati’!” E avreste anche ragione, sempre che voi stiate parlando di Iggy Pop – che comunque di passi falsi ne ha fatti sia in gioventù che di recente – e Alan Vega – che però è morto da poco e dunque non vale. Infatti il problema di fondo non è l’età anagrafica quanto più la propensione di certe “eminenze grigie” nell’atto di parlarsi addosso in uno sconsiderato sproloquio senza fine.

Avere a che fare con gli U2 – quelli da “Zooropa” in poi – è un’esperienza del tutto simile a quella di entrare in una casa di riposo per andare a trovare la propria cara nonnina ancora ben lucida ed essere fermati costantemente dai soliti quattro anziani pronti a raccontarti di come sono stati dei grandiosi eroi di guerra. La prima volta passi, la seconda già meno e da lì in poi cominci a sperare di non vederli mai più, cercando di passare persino dalla finestra pur di non sentirli blaterare ancora e ancora consapevole che, prima o poi, ti beccheranno lo stesso e ricominceranno il racconto da capo.

Il best friend del papa Bono Vox, il da sempre sprecatissimo The Edge ed il duo di fantasmi più celebre del mondo Larry Mullen ed Adam Clayton sono esattamente quei quattro anziani e di simpatico cominciano a non avere più un cazzo, soprattutto dopo lo scherzetto giocato a tutti i possessori di device targati Apple con il precedente “Songs Of Innocence”, disco che più fastidioso e brutto non si poteva fare. O almeno così pensavo fino ad aver pigiato “play” per far partire il nuovo “Songs Of Experience” anche se il fastidio, a questo giro, lo si può osservare da tutt’altro punto di vista.

Mai come ora infatti quel senso di orrida e incontrollata retromania è stato sì presente in un disco del quartetto irlandese più blasonato di tutti i tempi, questione chiara fin dalla copertina. Le avvisaglie di questo modus operandi francamente abusato da praticamente chiunque suonano forti e chiare sin dal singolo You’re The Best Thing About Me che suona così tanto u2amente retrò che quasi quasi non da nemmeno fastidio ma che non lascia scampo nemmeno nel video che vede la band alle prese con un giro su un bus a due piani o intenta a suonare sul tetto di un palazzo – ‘member Sweetest Thing e Where The Streets Have No Name?

Fosse finito qui il “remembering” ci si potrebbe anche rilassare, e invece no. Gli inopportuni rimandi a Beautiful Day della stucchevole Get Out Of Your Own Way sarebbero da incorniciare se solo fossero tangibili. Non aiuta nemmeno l’inutile spoken word ad opera di Kendrick Lamar usato come collante tra il pezzo di cui sopra e la theedgesuperriff-oriented American Soul che non sarebbe nemmeno malaccio, non fosse per l’ennesimo rimando carbon copy ad altri momenti della discografia del quartetto e il moscio incedere delle linee vocali di un ormai finito Bono.

Strada sbagliata anche quella del blues-pop della molle Lights Of Home, che il blues senza soul non ha senso d’essere, citofonare agli ultimi Rolling Stones per conferma. I brani hanno tutti l’enorme difetto di non andare da nessuna parte e a dimostrarlo troviamo la comunque buona Summer Of Love, col suo pop che sviluppato a dovere e cantato da qualcuno un po’ meno svogliato andrebbe a segno al volo, il maldestro tentativo di sperimentazione elettronica di Love Is All We Have Left e il white funk-punk della scarica Red Flag Day, materia che è riuscita sempre e solo in casa Summers/Sting/Copeland.

La patetica idea di tirare in ballo rimandi ai Beach Boys con l’unico risultato di comporre una canzone da oratorio come The Showman (Little More Better) farebbe cascare gli attributi al più impenitente dei fan (o almeno così dovrebbe essere) e forse anche il ritorno prepotente del rifferama super classy di Edge sulla sfiancante Landlady e sul finale di The Little Things That Give You Away, altro pezzo che altrove e una ventina di anni fa avrebbe fatto saltare più di uno sulla sedia. Ammetto di essermi risvegliato dal torpore nel sentire – probabilmente per la prima volta in tanti anni – la presenza del basso di Clayton su The Blackout, forse unico brano veramente riuscito del lotto – pur costituendo un rimando esagerato all’era “Pop”.

Cari signori, siamo a dicembre ed è tempo di classifiche. Se state dunque cercando un album per quella del “Disco più sconclusionato, peggio arrangiato e più piatto del 2017” avrete un vincitore in questo “Songs Of Experience”.

Di buono c’è che mai titolo fu più azzeccato: gli U2 hanno dalla loro un bagaglio di esperienze ampio abbastanza da potersi copiare da sé all’infinito. Spero vivamente che questo non accada e che i nostri irlandesi (ex)preferiti siano quasi giunti all’idea di godersi le proprie immense ricchezze senza più ammorbarci con un altro nuovo lavoro in studio. Il tutto, ovviamente, pagando le tasse. Vero Bono?

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