A ben 9 anni di distanza dal precedente “Balera Metropolitana“, i Maisie tornano con il nuovo album “Maledette Rockstar“, disponibile dal prossimo 19 gennaio su Snowdonia Dischi e LaZona Produzioni.
Il settimo disco in carriera per la band, che esce in concomitanza con i vent’anni di attività, è un (quasi) concept incentrato sulla scomparsa delle star ovvero sulla scomparsa della necessità di figure di riferimento, di icone, di maestri in senso lato: i genitori, gli insegnanti, i preti e le Rockstar, appunto.
Una gestazione lunghissima e complessa, che ha portato ad un disco altrettanto lungo e complesso: doppio cd, 31 brani, oltre 7o ospiti (Bruno Dorella, Piotta, Vittorio Nistri, Diego Palazzi per citarne solo alcuni), un libretto di 54 pagine con tutti i testi del disco e i disegni del disegnatore Manfredi Criminale, creati appositamente per le canzoni.
In attesa dell’uscita dell’album, noi vi facciamo ascoltare in anteprima assoluta il primo singolo Gesù, il tutto accompagnato da una breve intervista alla band (nelle persone di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti) e al produttore Emiliano Rubbi che trovate di seguito.
Ciao ragazzi, sono almeno 9 anni che aspettiamo questo disco. Come siete riusciti a rimandarne la pubblicazione per così tanto tempo?
Tutte le nostre canzoni nascono di getto, dall’osservazione della realtà che ci circonda. Il punto è che la realtà non si ferma mai, ogni giorno succede qualcosa che attira la nostra attenzione e allora arriva un Maisie e dice: “Dai, questa è troppo bella, non possiamo non raccontarla”. E un altro Maisie risponde: “Ma no, dai, basta, abbiamo già 30 pezzi”. Ne nasce un parapiglia e alla fine la spunta sempre il Maisie aggiungitore di pezzi. Poi c’è anche da considerare il fatto che noi apparteniamo alla generazione che considerava il disco un oggetto sacro, una roba importante che doveva essere fatta bene. Per cui ogni pezzo cerchiamo di curarlo al massimo delle nostre possibilità, dalla fase di registrazione a quella di mastering. Registriamo, lasciamo decantare, ci torniamo su e togliamo, aggiungiamo, modifichiamo. Poi mixiamo, lasciamo decantare, ci torniamo su ecc…
Insomma, le canzoni sono tante, il metodo di lavoro e quello testè descritto e il tempo passa…
A parte Cinzia e Alberto la band ha sempre avuto una formazione più o meno flessibile. Tuttavia in questo album le collaborazioni sono più numerose del solito. Come sono nate? Quale vi ha stupito o coinvolto maggiormente? E, soprattutto, ce n’è qualcuna che avreste voluto ma non siete riusciti a realizzare?
Gli arrangiamenti dei Maisie sono sempre stati il riflesso dei nostri gusti ecclettici.
Non siamo una band folk o elettronica o basic rock…
Una canzone possiamo aver voglia di farla suonare jazz-rock, un’altra motown, un’altra canterburiana e così via. Ma non è sfoggio di stile o schizofrenia, usiamo i generi musicali come a teatro si usano le scenografie e i costumi: li scegliamo in base alla storia da raccontare. Per cui per ogni pezzo cerchiamo di reinventare la formazione all’uopo, invitando quell’amico chitarrista che pensiamo possa dare la giusta pennellata country, l’amico sassofonista col il tocco alla Coltrane ecc…
Una collaborazione sfumata? Beh, ci avrebbe fatto moltissimo piacere ospitare Eugenio Finardi, uno dei nostri cantautori preferiti. Lo abbiamo contattato ma ci ha risposto che non poteva poiché la Universal lo “tampina duro”. Quindi niente. Peccato, sarebbe stato bello.
Un altro dettaglio che si nota subito è l’incredibile lunghezza del disco, che con i suoi 31 brani non rientra nei moderni canoni di durata di un album. Quante volte in questi anni vi hanno suggerito di accorciarlo?
Circa un miliardo.
Di solito la realizzazione di un nuovo album è soprattutto un modo per tornare in tour. Nel vostro caso invece sembra essere l’ultimo dei vostri pensieri. Lo farete qualche concerto dal vivo?
Ci piace fare dischi e la cosa prende tante energie. Ma questa volta ci siamo impegnati al massimo anche sul fronte live. Ci stiamo preparando e divertendo riarrangiando i pezzi, creando nuove versioni, diverse da quelle su disco, per suonarle dal vivo. Secondo noi il concerto deve essere, per chi ascolta, un tassello in più da aggiungere alla conoscenza del gruppo! Per cui: Si, siamo prontissimi a girare e suonare. Abbiamo un’ottima agenzia che sta lavorando per noi e presto usciremo da casa! Seguiteci perché ci saranno delle belle sorprese.
Prima di “Balera Metropolitana“, “Morte a 33 giri” è stata un po’ la pietra miliare della vostra discografia. Il disco con cui sembravate aver raggiunto la vostra dimensione artistica. Un ottimo momento per smettere di fare dischi. Poi è arrivato il doppio album “Balera Metropolitana” ed è probabilmente divenuta la vera e propria pietra miliare della vostra carriera, un disco elegantissimo con cui potevate andare in pensione soddisfatti. 9 anni dopo quel capolavoro, tirate fuori “Madeledette Rockstar“, un album forse non per tutti, ma maledettamente perfetto e, forse, il vostro album definitivo. Ci sarà un nuovo disco entro il 2040 o è il momento di fermarsi?
La colpa è tutta vostra, del maledetto quarto potere! Smettetela di lodarci, non incoraggiateci. Potremmo non smetterla più!!
Il pezzo che presentiamo in anteprima è “Gesù”. Da vecchi comunisti qual è il vostro rapporto con la chiesa cattolica come istituzione?
Viviamo in un’epoca di violentissima dittatura dei capitalismo liberista globalizzato, la peggiore ideologia mai apparsa nella storia: anche un’istituzione come la chiesa cattolica, che non è certo “casa nostra” (essendo, come giustamente ricordavi, dei vecchi comunisti), può rappresentare un fronte di resistenza all’imbarbarimento.
Una domanda anche per Emiliano Rubbi: sei entrato a far parte di questa release come produttore ormai da diversi anni, da quando il disco doveva uscire “tra un mese” o poco più. Che ruolo hai avuto e come hai vissuto questa collaborazione con i Maisie?
Sono passato attraverso le stranote 5 fasi. Sai, quelle che si dicono di solito, no?
– Negazione (oh, ma non era quasi pronto?)
– Rabbia (EH? Rifare da zero metà voci del disco una volta che avevo finito?)
– Negoziazione (dai, su, facciamo una sì è una no, almeno)
– Depressione (morirò di sicuro di vecchiaia e stenti prima di averlo finito)
Poi, arrivato all’Accettazione, ho capito che nei tre anni precedenti avevo lavorato a uno degli album più belli a cui mi sia mai capitato di dare un contributo.