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Back In Time

BRUCE SPRINGSTEEN, “The River” e l’ultimo tuffo nel fiume del progresso

Bruce Springsteen

The River’’ fu l’ultimo tocco di disillusione prima del consumismo estetico degli anni ’80. “The River’’, il quinto album di Bruce Springsteen, si consacra nella memoria collettiva americana dei “beautiful losers’’; quei cuori solitari dispersi nel deserto delle promesse infrante. “The River’’, con la sua tradizione atavica di folk rock, il cui esponente significante è Guthrie, tratta il tema della terra, della “Land’’, dei suoi detriti umani che si tuffano lungo il fiume di un progresso che scorre tra le periferie dei sogni dei suoi abitanti.

The River’’, attraverso la fisarmonica di Bruce, la nostalgia nutrita d’ingenuità puerile e disillusione adulta, amalgama alla perfezione quel substrato di gioventù americana dispersa eppur desiderosa di vita a cui ci ha abituato Robert Frank. “The River’’ e le sue infinite sfumature tra i riflessi dei volti che vi scorrono, quel fiume in cui non vi è soltanto il riflesso di sé, ma il riflesso di tutto ciò che aneliamo possa far parte di noi, in qualunque suo tentativo di autoaffermazione, fuga, fallimento, disillusione. Quel fiume dove Siddartha trovò il “tutto’’ e la sua affine e delicata naturalezza. Nonché antitesi.

Perché se il fiume è Espressione, Strada è Contenuto.

Bruce Springsteen

Vi è strada voluta, come sfogo, come desiderio Beat in Out in the Street e poi vi è la strada che si percorre da soli, con un sacco in spalla, quando si dice addio ai propri padri perché è il giorno dell’indipendenza. Quella strada che verrà poi ripresa da McCarthy nell’omonimo romanzo, con una tematica speculare. Ecco, è cosi che Bruce, prima dell’avvento del consumismo estetico degli anni 80’, con i balli provocatori di Madonna, e la morte delle radio star, tracciò il ritratto di quella generazione americana che più di tutti affascinò il mondo. Con la rottura di questi modelli e sogni e l’arrivo nell’epoca New Romantic dei poster appiccicati tramite saliva al muro di Simon Le Bon, Bruce decise ed ebbe il coraggio – con le accelerazioni della E Street Band usando R&B da pub, rockabilly e la loro caratteristica epica rock – di voler dare un ultimo bacio a quegli interni dell’anima che Hopper rappresentò nei locali delle periferie americane.

Presto sarebbe arrivata l’america degli Yuppie e Frankie sarebbe andato a Hollywood (Relax). John Lennon sarebbe morto di lì a poco, ma la classe operaia aveva il suo nuovo portavoce. 

Un giorno chiesi a mio padre qual’era secondo lui il miglior album di Springsteen e lui mi rispose “Nebraska’’. Al perché disse che nel pieno degli anni 80 potevi scegliere se adeguarti ai tempi oppure no.  Mentre Cindy Lauper cantava “Girls Just Wanna Have Fun’’, Bruce tagliava un’altra radice di cuore nel grembo americano della musica. Regalandoci la speranza che nonostante “there’s just a meanness in this world”, c’è sempre una “Reason to believe’’. Rispettivamente la fine della prima e ultima canzone dell’album successivo a “The River’’.

Perché negli occhi di chi ha perso, ma ha perso solo perché ha sognato, in una vita che agisce inevitabilmente per sottrazioni, non scorre altro che il fiume freddo dei ricordi passati, in cui la strada era lunga e si aveva ancora un po’ di tempo per amare.

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