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Orson Hentschel – Facades

2018 - Denovali
Space ambient / neo cosmic

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Tracklist

  1. Facades I
  2. Facades II

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Orson Hentschel voleva soltanto descrivere se stesso. Aveva realizzato che solo scrivendo del nulla e col nulla è possibile riscoprire l’essenza e l’onestà di esprimere se stessi nella più nobile delle forme. E non per scienza infusa: ha bussato alla porta di John Cage, che senza aprire, da uno spiraglio, gli ha passato “Lecture On Nothing“. Ne ha stracciato la copertina e lo ha scosso dalla poca polvere di carattere che gli restava – come per tenerne la sostanza, per liberarlo da se stesso e non darne alcun colore, espressione, fisionomia o corpo. D’altronde, Orson era reduce dai fronzoli delle due prime uscite “Electric Stutter” e “Feed The Tape“. Cercava un ristoro nell’essenziale.

Ora, prova tu a condensare te stesso in suono e parole, delega un perfetto sconosciuto a farlo, in una lingua a te ignota. Oppure scegli la foto che più ti rappresenta senza che sia tu il soggetto, senza che si intraveda il tuo sguardo, la tua figura, senza che tu possa essere riconoscibile. In “Facades c’è tutto questo. E non c’è sguardo e non c’è carattere, quasi a volersi mostrare di sfuggita e solo di passaggio.

Orson non ha bisogno di parlare da sé, per sé. A farlo è l’accidentale conoscenza di D. Joe, quella calda voce femminile pronunciata nella più stretta delle cadenze dialettali koreane. Perché solo uno sconosciuto e una lingua straniera possono cancellare quel valore affettivo che rischia di dare carattere al nulla. Tensione, ripetizione compulsiva, brevi tasselli in una loro logica perfetta – si ripetono in un cyber trip dal respiro pesante, affannoso. “Facades” è una linea retta, non ha apice e non ha approdo, e non ha bisogno di averlo per raggiungere quel culmine che riesce comunque a conquistarsi.

Le ‘Facades’ di Orson sono ‘Facciate’ eccentriche, fatte di dissonanze massicce, sono barriere sintetiche senza confine fisico o di genere. Eppure quel testo riesce a far da padrone, quella parola è così consistente ma al contempo tanto sonora da essere il principale elemento musicale della composizione. Gettata a ritmo regolare, è una parola imponente nel suo manifestarsi, ma talmente sottile da sembrare quasi sussurrata. Come una manciata generosa ma ben dosata di parole che si calano su sonorità stratificate e divengono via via più esili, fino a dissolversi. Appannate, modellate, le ripetizioni hanno un loro orientamento, subordinate alle forme melodiche, sino a fondersi con loro. E ne dilata la tensione per toccare le più viscerali paure, in itinerari così profondi da sembrare interminabili.

Più un artista multimediale che un compositore in senso stretto. Da una formazione classica, al passaggio per trip-hop ed electro-pop, fa tesoro dei paladini alla Portishead e Bjork, Orson Hentschel attinge sapere da più fonti, trae spunto e materiale sempre nuovo, per scomodarlo dal contesto e dargli un nuovo scopo.

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