Tra tutti i gruppi heavy metal, quello che forse ha saputo più cogliere il groove e l’essenza doom dei padri Black Sabbath sono i The Obsessed.
Dopo ben ventitré anni da “The Church Within” del 1994, dopo una seri di split e singoli, arriva “Sacred”. Il leggendario Scott “Wino” Weinrich, dopo essersi dedicato più approfonditamente al progetto parallelo Saint Vitus, si trova in compagnia del basso di Reid Raley e della batteria di Brian Costantino, facendo tornare i The Obsessed una solida ed efficace realtà hard’n’heavy.
“Sacred” è un disco che non aggiunge nulla di nuovo sotto i riflettori, ma è un lavoro valido e con il, ben noto, potenziale del gruppo ben in risalto. Quindi, Wino non tende a sorprendere, ma a riprendere le redini, a far vedere che il gruppo vive e che sa produrre ancora ottima musica. Si fa subito sul serio con Sodden Jackal e Punk Crusher: inequivocabile sound stile Sabbath con ottimi spunti di energico heavy metal. Sacred e Perseverance rispettano i sacri canoni artistici che hanno reso Scott Weinrich ciò che è: riff di chitarra serrati con pesanti note epic-doom, ottimi assoli e resa di insieme, scandiscono le sue capacità di dare vita ad un connubio tra heavy metal, hard rock e blues.
Non mancano pezzi di quel rock’n roll più puro e di vecchia data, come in Cold Blood, Be the Night o Haywire, quest’ultima soprattutto sembra quasi presa in prestito dai Motörhead della buonanima di Lemmy. Non sono esattamente pezzi che ci si aspetterebbe da Wino e compagni, però godibili e abbastanza efficaci. Stranger Things e Razor Wire danno al disco quella nota di classico hard rock, attraverso ottimi arrangiamenti e buoni spunti chitarristici. I rimandi ai Sabbath continuano a riecheggiare in brani come On So Long e It’s Only Money, dove la chitarra di Wino sembra proprio essere stata partorita da quella di Jommy: tutta il papà! Anche in My Daughter My Son troviamo un buon connubio di generi introdotti da un roccioso riff iniziale che accompagna il brano verso tonalità a tratti heavy e doom. Crossroader Blues alza l’intensità del blues proprio in chiusura del disco: Wino solletica un po’ di scale sulla sua chitarra, facendo piovere riff e assoli in stile metal blues con un brano ben strutturato e con pochi fronzoli.
Sicuramente non è il miglior lavoro dei The Obsessed; niente a che vedere con “The Obsessed” o “Lunar Womb” dei primi anni novanta, ma è comunque un disco pulito, sincero e che non va tanto per il sottile. Wino ci mostra che il gruppo e la sua musica non sono cambiati. Il lavoro di Raley e Costantino è encomiabile, riescono ad imprimere la giusta energia e pathos alle melodie rocciose di Wino, anche se a volte un po’annacquate rispetto ai precedenti lavori.