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Shuttle358 – Field

2018 - 12K
elettronica / glitch

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Tracklist

  1. Star
  2. Caudex
  3. Rossii
  4. Edule
  5. Field
  6. Sea
  7. Dilate
  8. Waves
  9. Divide
  10. Blue
  11. Farming

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La sperimentazione di Dan Abrams, al secolo Shuttle358, continua con il suo disco “Field“. Dal suo capolavoro “Frame” sono passati ben 18 anni, e con questo non voglio far passare il fatto che ci sia stata una pausa creativa, tutt’altro. Abbiamo sentito i suoi lavori che pescano da IDM, techno, downtempo e da altre varie famiglie dell’elettronica, ma con “Field” si ritorna alle origini, a quel sound che già diceva tutto, nei suoi sviluppi e nelle sue manifestazioni. Sto parlando del glitch, e il Nostro si aggiudica il posto tra i nomi di rilievo del genere, assieme a Jan Jelinek, Oval di systemisch, Vladislav Delay, Alva Noto.

In effetti, questo disco, che esce per una delle etichette più raffinate di elettronica (di “acustica”, in generale), la 12K capitanata da Taylor Duepree, contiene suoni di epoca anni ’90 che sono costituiti dal risultato sonoro di malfunzionamenti di vecchi software, di vecchi computer (che hanno visto la nascita del sistema technicolor DSP), a CPU molto lenta che produceva fisicamente suoni che ben hanno fatto nascere e definito il genere.

Da questi elementi, si parte per ammirare i paesaggi sonori che Shuttle358 ci propone. Si trovano pressoché un’infinita di sfumature: dalla samba in ring modulator di Sea alle concrezioni di Dilate, ai droni di Blue, passando dalle vampate di calore della title track alle lente discese ai pendii di Rossii, all’ascensione dell’apertura di Star (suono quasi raster:noton), alla comunicazione interrotta di Edule che tuttavia genera dialogo angelico, coro sommesso.

Piccoli detriti che in un sistema diventano liquidi, con una fluidità che tutto riunisce e accorpa a sé, i cui ritmi sono espressione di mood, e non esclusivamente mero matematismo. Insomma, l’aspetto digitale viene paradossalmente spazzato via dal gradiente dell’analogico, poiché il calore della produzione, ha poco a che vedere con la freddezza. Certo, chi vedrà sempre l’elettronica come un genere sui generis, bene, continuerà a non capire niente di quelli che sono gli sviluppi di una pratica culturale (poi sì, c’è chi la musica la inserisce tra le arti, ma rimane pratica), di una svolta necessaria per l’ampliamento dell’ascolto, per ospitare caritatevolmente quegli spiriti taciuti, rinchiusi dentro quella griglia definita come rumore, invece ben visti se nella categoria “musica”.

Ecco perché si può sbagliare a definire la musica un’arte, poiché è ancor prima pratica caritatevole, che innalza l’inutilità della bellezza di un suono (sì, Cage, Stockhausen, Varèse, Berio, Maderna, su tutti quest’ultimo) e lo rende, non comparsa, ma protagonista di egual livello rispetto agli altri, capace di far sentire la propria voce.

Gli interdetti del rumore hanno trovato rifugio nella musica, una casa più grande, in cui vivere, crescere e invecchiare. Magari in altre epoche troveranno altri sviluppi, e saranno pietra angolare per ulteriori costruzioni.

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