1. Leave the House
2. Find Me
3. Understanding
4. Now the Water
5. Country
6. By My Side
7. Åkeren
8. Anymore
9. Wobble
10. Goodbye
11. Swimmer
12. W Longing
13. Ono
14. Anything U Want
Scrivere di Porches, progetto synth pop di Aaron Maine, non è di certo semplice, specialmente in una fase della storia della musica in cui pop significa tutto e nulla. Sembra così semplice coprire un lavoro artistico con un’enorme etichetta che risponde alla voce “genere”, appaga, mette tranquilli, spesso è la soluzione più semplice per interiorizzarlo e chiudere il cerchio comunicativo fra il musicista e l’ascoltatore.
Ebbene, analizzando un album maturo e passionale come “The House” non solo risulterebbe denigratorio, ma sarebbe anche intellettualmente disonesto. A fronte di un pattern strumentale pressochè invariato nelle sonorità (ma estremamente valido), la scrittura di Maine è decisamente migliorata rispetto ai lavori precedenti: “Slow Dance in the Cosmos” (2013) e “Pool” (2016), ai quali deve la sua entrata di diritto nella scena musicale newyorkese influente; risulta molto facile lasciarsi trasportare dalla narrazione emotiva e solida di “The House“, quasi un concept godibile da varie prospettive, una dimensione intima dell’artista da indagare con sensibilità. Il sound è caratteristico e difficilmente imitabile: ritmica decisa e calda, parte melodica soffusa e fluida, voce versatile che porta equilibrio nella composizione.
Leave the House introduce la narrazione su un tappeto di beat e synth, evidenziando il minimalismo e l’attenzione di Maine anche in veste di produttore; segue l’introspettiva Find Me, da leggere alla luce degli attacchi d’ansia con cui ha dovuto convivere a lungo e “Understanding”, scritta e interpretata da Peter Maine, padre di Aaron.
Fluiscono rapidamente le successive tracce, senza risultare banali, alternando le atmosfere rilassate di Now The Water, alle sfumature dance di Anymore, all’intermezzo acustico di Swimmer, forse maggior espressione della libertà espressiva e compositiva dell’artista, ai toni cupi e viscerali di Åkeren, translazione norvegese di Kaya Wilkins di una lirica dello stesso Maine. Chiude infine “Anything U Want”, che sintetizza l’urgenza comunicativa che permea l’intero album, avvolgente, intimo, sincero.
“The House” diventa ora metro di misura, con cui dovrà confrontarsi Porches nelle prossime produzioni che seguiranno il tour del 2018, ennesima occasione di riconferma di un artista formato, maturo e con ancora molto da raccontare.