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MGMT – Little Dark Age

2018 - Columbia
pop

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Tracklist

1. She Works Out Too Much
2. Little Dark Age
3. When You Die
4. Me and Michael
5. TSLAMP
6. James
7. Days That Got Away
8. One Thing Left To Try
9. When You're Small
10. Hand It Over


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Andrew VanWyngarden e Ben Goldwasser, “solid as they come”.

A quattro anni dal non entusiasmante album omonimo, gli MGMT decidono che è giunto il momento di ritrovarsi, mettere insieme il materiale raccolto via mail negli ultimi tempi e deliziare i fan con un nuovo LP. Prodotto da Patrick Wimberly (Chairlift) e dal leggendario Dave Fridmann (Flaming Lips, Mercury Rev), questa quarta prova del duo di Brooklyn vede la partecipazione speciale di Ariel Pink e Connan Mockasin, decisa a tavolino per modellare il disco col giusto tocco di eccentricità. “Little Dark Age” – titolo di per sé già sufficientemente emblematico (specie per giovani musicisti americani dell’era Trump) – si compone di dieci tracce dal sapore agrodolce: da un lato melodie squisitamente orecchiabili, dall’altro testi distopici e surreali. Insomma, di questi tempi il loro slogan in campagna elettorale sarebbe probabilmente “Make Pop Great Again”.

Il disco si apre con l’energetica She Works Out Too Much, mettendo in chiaro sin da principio che alla band non è passata la voglia di scherzare. Conto alla rovescia e “here we go!”: è tempo di spinning. Un basso metallico dai toni funky e progressioni jazzy à-la Todd Rundgren trascinano l’assurda discussione tra un Lui trascurato ed esaurito dai social ed una Lei in formissima e dal selfie facile, culminante nella robotica rottura dei due tra assoli di sax ed un secco “okay, we’re done”. Segue la title track, pezzone dark pop dove Andrew abbandona le corone di fiori iconiche della sua estetica sciamana per abbracciare un look tutto goth alla Robert Smith e cantare della “piccola età buia”. Solo un brutto sogno dai toni grotteschi e medievali o crisi nostalgica dell’amministrazione Obama? La qualità rimane altissima con la successiva When You Die, secondo singolo e probamente una delle composizioni della band più originali di sempre. Il duo cerca qui di catturare un sentimento di disagio esistenziale dalla fiabesca e bipolare prospettiva di un trip a DMT (guardare l’allucinata clip con Alex Karpovsky per credere), associando ad una psichedelia cremosa lyrics fredde ed incisive in una combinazione che non tarda ad affascinare, proprio come un trucco di magia ben riuscito (a differenza dei goffi tricks nel video).

Diciamo che per una volta sarete contenti di sentirvi dire “go fuck yourself”. Segue la hit da karaoke Me and Michael (in origine Me and My Girl, ma chi ha bisogno di un’altra canzone d’amore? Meglio passare un po’ di tempo con Michael Buscemi…), chiaro omaggio al synth-pop anni Ottanta (Pet Shop Boys, OMD, YMO e chi più ne ha, più ne metta) e sottile presa in giro della Fama di cui la band da sempre è prigioniera. Scrivo Fama con la maiuscola perché ho l’impressione che per gli MGMT essa non differisca poi molto dalla Morte, seppur artistica. Non a caso la clip associata al brano è dedicata al romanzo Appointment in Samarra di John O’Hara, la curiosa storia di un trentenne ben educato ed in carriera (ma in hungover) che per ragioni non chiare (ehi, forse l’hungover?) commette una serie di atti compulsivi cuminanti col suicidio. Questi atti? Versare un drink in faccia ad un investitore del suo stesso business (qualcuno ha detto “Columbia Records”?), invitare la provocante donna di un gangster a bordo della sua macchina per un rapportino occasionale (eh si, un tempo cantavano “find some models for wives”) e scatenare una rissa con un mutilato eroe di guerra (qualche problema con il ricambio generazionale delle star?). Insomma, mi avete capito, Me and Michael rappresenta il loro atto compulsivo.

La successiva TSLAMP (Time Spent Looking At My Phone) riprende in mano le tematiche della traccia di apertura, descrittive di in una sorta di allucinazione digitale che alla band preme raccontare in quanto cantori del proprio tempo (difficile non pensare agli Unknown Mortal Orchestra e la loro “Can’t Stop Checking My Phone”). Dopo la tenerissima James – tributo all’amico e chitarrista live della band James Richardson – l’ascolto scivola tranquillo tra il glo-fi strumentale (molto Toro Y Moi) di Days That Got Away, la disco paradiso di One Thing Left To Try e la psichedelia decisamente Floydiana di When You’re Small, per approdare infine al singolo di coda – Hand It Over – esercizio di stile e simpatica frecciatina all’industria musicale  (e agli ultimi Tame Impala).

In fin dei conti credo sia necessario dare credito agli artisti mal interpretati e gli MGMT ci hanno dato ben tre album ed un decennio per capire che i cosiddetti “indie rock anthems” di “Oracular Spectacular” sono stati solamente fortunati/sfortunati esperimenti di ragazzetti del college. D’altronde chiedete ai Radiohead cosa pensano di Creep. Ok, forse ho esagerato.

Little Dark Age” non sarà certo un lampo nel buio, ma suona indubbiamente fresco, ironico e – considerate le altissime aspettative – furbo al punto giusto.

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