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Interviste

Intervista ai FAST ANIMALS AND SLOW KIDS

Fast Animals And Slow Kids

I Fast Animals And Slow Kids sono tornati lo scorso anno con il nuovo album “Forse non è la felicità“, quarto album in studio pubblicato dall’etichetta Woodworm, che ci ha consegnato una band in piena maturità stilistica che ha spinto verso un’evoluzione della propria produzione, senza dimenticare l’approccio energico e diretto che li ha contraddistinti in questi anni.

Li abbiamo incontrati prima del concerto di Torino, nella cornice dell’Hiroshima Mon Amour, in una cordiale chiacchierata con Aimone Romizi e Alessio Mingoli, nell’attesa che il club si riempisse dei tanti fan accorsi a seguire un’esibizione esplosiva.

Leggendo la descrizione della dell’evento pubblicata sui social, sembra di trovarsi di fronte ad una band prossima a concludere il proprio cammino artistico. Lo stesso nome del tour (Tour Finale per l’appunto), suggerisce maliconicamente la chiusura di un percorso..
Aimone: C’è una base di malinconia che aleggia attorno a noi sin dagli esordi e non riusciamo a scrollarcela di dosso (ride, ndr). In questo caso, per noi è talmente importante suonare in giro e portare all’attenzione il nuovo materiale che quando si esaurisce un ciclo (quello del disco) è come se si esaurisse un discorso. Non crediamo nell’idea di un percorso lungo una carriera, ma in cicli che si aprono e si chiudono uno dopo l’altro. E’ come un reset che ci permette di dare una conclusione all’intero processo e di ripartire lberi da ogni forma mentis, chudiamo un discorso lungo un disco in questo modo. Quindi no, non c’è niente di catastrofico nel Tour finale.

La vostra musica, seppur energica e rabbiosa, si è sempre contraddistinta per una certa malinconia dei testi. Con il vostro ultimo disco, nonostante sia ben presente il vostro consueto muro sonoro,  questo aspetto testuale sembra avere la meglio anche sul piano sonoro, data la presenza di brani più dilatati e di un suono meno duro del passato. Da cosa deriva questa scelta?
Aimone: Non credo ci sia una reale intenzione, ma che il tutto dipenda dagli ascolti del momento o dal mood in cui si compone. “Forse non è la felicità è un disco che è stato composto in un tempo molto lungo – quasi un anno -, con canzoni che, magari, sono state pensate in estate ma poi perfezionate in inverno ed è una cosa che non ci era mai successa. Di solito un brano lo concludiamo in due settimane, mentre in questo caso la chiusura del pezzo era legata ad un momento più stimolante dal punto di vista creativo.
Questo approccio ci ha portato a registrare pezzi più lunghi rispetto alla nostra media, e più riflessivi, a differenza – ad esempio – di “Alaska” che risulta diretto, un vero e proprio muro, e che è stato il riflesso di un periodo di scrittura di tre mesi, figlio anche di un certo tipo di ascolti. Con l’ultimo disco abbiamo voluto prendere più tempo per riflettere e sperimentare.

I vostri testi sono sempre stati legati alla quotidianeità e a particolari sensazioni legati a degli eventi, senza andare a toccare elementi di denuncia o racconto sociale. Avete mai pensato di cambiare il vostro approccio alla scrittura per raccontare uno spaccato della società di oggi?
Aimone: Noi cerchiamo sempre di essere il più “puri” e istintivi possibile. Siamo certi che il giorno in cui canteremo su un palco qualcosa che non è nelle nostre corde e che non parla di noi, saremmo fiacchi e meno diretti con le persone che ci ascoltano. Si percepirebbe immediamente. Personalmente ho una paura fottuta di andare a toccare delle corde che non sono mie. Ho provato più volte ad analizzare un piccolo spaccato della società per sperimentare una nuova scrttura ma il risultato non mi ha mai convinto. Le uniche cose che riesco ad esprimere in un testo sono quelle che muovono ciò che provo, e come Fast Animals and Slow Kids, in questi anni, abbiamo avuto la fortuna di coinvolgere sentimenti simili ai nostri in altre persone. Questo per noi è di vitale importanza.

In quest’epoca musicale in cui l’hip-hop e la trap la fanno da padroni, voi con il rock siete fuorimoda e francamente sembra che non vi importi neanche granché. In genere le rock band, ad un certo punto della loro carriera inseriscono elementi di musica elettronica. Voi siete aperti ad altre possibilità stilistiche?
Aimone: Se volessimo inserire dell’elettronica, l’avremmo messa e basta. E’ che non ci piace granché come genere (anche se comunque lo ascoltiamo) e quando abbiamo provato ad inserirla avevamo l’impressione che suonasse male. Noi facciamo solo quello che ci piace, punto. Se un giorno ci dovesse piacere una canzone con un beat su cui tutti ballano, la faremo. L’importante è che ci convinca.
Alessio: E’ successo più volte che abbiamo voluto inserire degli strumenti che ci piacevano ma che non sapevamo suonare, tipo le trombe! (ride, ndr)
Aimone: C’è stato un periodo in cui eravamo in fissa con le trombe e con i fiatti per colpa dei Neutral Milk Hotel e le abbiamo messe dentro senza remore. Ci stavano e le abbiamo messe. Il pensiero è sempre lo stesso: fare quello che ci piace e che metta tutti e quattro d’accordo, perché noi siamo una band che decide tutto insieme e se ad uno di noi qualcosa non piace o convince, non si va avanti.

L’anno appena trascorso è stato per voi pieno di soddisfazioni. Penso al live in diretta radiofonica su Radio 2, le varie comparsate su Deejay e Virgin, ma anche all’apertura delle date italiane di Interpol e Biffy Clyro. Quanto hanno influito sul vostro approccio schietto e diretto alla musica? Essendo comunque dei traguardi rispetto alla vostra dimensione – più legata al concetto di club che al grande palcoscenico – si potrebbe correre il rischio di perdere quella freschezza che vi ha permesso di raggiungere i traguardi citati.
Alessio: L’aver condiviso il palco con realtà più grandi e strutturate di noi come ad esempio i Biffy Clyro, ci ha permesso di confrontarci con esse e di acquisire una consapevolezza maggiore della necessità di rendere ancora più professionale il progetto Fast Animals and Slow Kids.
Aimone: Credo che quello che abbiamo fatto nel corso del 2017 non si discosta molto da ciò che facciamo da sempre, ovvero salire su un palco e suonare. Alla fine, che sia un palazzetto pieno o cinque persone ad ascoltarci per noi è lo stesso, perché se perdi di purezza è perché stai proiettando te stesso lontano da questa essenza: ti stai allontando da quello che è la musica e quello per cui hai suonato nei posti più assurdi e orrendi. Non puoi dimenticare certe cose. Quando hai la possibilità di suonare con queste band cerchi semplicemente di cogliere gli aspetti che possono migliorarti, perché il processo di miglioramento deve essere sempre presente.

La lingua italiana ed il genere rock difficilmente riescono ad amalgamarsi senza apparire forzati. Il vostro è un esempio perfetto di come questo ostacolo possa essere superato. Come siete riusciti a combinare questi due aspetti?
Alessio: Se riesci a comunicare quello che vuoi, il problema non è certo la lingua quanto il contenuto, perché magari se canti in inglese – come è successo a noi in passato – non riesci ad esprimerti al meglio. E’ una lingua che non padroneggi e che non ti lascia esprimere a pieno. Nel nostro caso poi, lo utilzzavamo per non dire niente (ride, ndr), semplicemente per imparare a cantare.
Aimone: In Italia il cantare inglese lo senti come un qualcosa di diverso, slegato dal reale valore del contenuto di un testo. Come diceva Ale il nostro inglese era più un allenamento, visto che non riuscivamo ad esprimerci al meglio. Volevamo dire delle cose ed esprimere dei concetti ed il passaggio dall’inglese all’italiano – oltre che motivato da una necessità di espressività maggiore – è stato dato dal fatto che effettivamente il pubblico non ti ascolta allo stesso modo di come ti ascolterebbe se comunicassi con la tua lingua. Con l’italiano puoi confrontarti con il pubblico, spiegare il significato di un testo con un’introduzione, per cui il passaggio dall’una all’altra lingua è stato fisiologico. Se non hai un contenuto è meglio cantare in inglese! (ride, ndr) Poi se sei capace e competente e riesci ad esprimerti anche in inglese va ancora meglio. Penso agli A Toys Orchestra, che sono bravissimi in questo.
Alessio: Noi siamo una band per cui è molto importante lo scambio durante il concerto con il pubblico, per cui scrivere pezzi in italiano è fondamentale.

Perugini di nascita, continuate a vivere nella vostra città natale. Avete mai avuto il desiderio di lasciare la vostra piccola città per mettervi in gioco in una realtà più grande?
Aimone: In realtà già lo facciamo, perché a Perugia ci dormiamo solamente, oltre che vivere la quotidianità quando non siamo in giro a suonare. L’abbiamo scelta come base per vivere un quotidiano quasi protettivo. Viaggiando sempre su un furgone per raggiungere i vari posti su e giù per il paese, stiamo più lontani da casa che il contrario. Non viviamo neanche la costrizione che una città di provincia alla lunga può darti, anche se in realtà non l’abbiamo mai vissuta neanche agli inizi. A noi piace vivere a Perugia. Siamo campanilisti in tal senso!

Le ultime edizioni di Sanremo e lo spazio settimanale di Quelli che il calcio hanno un po’ sdoganato l’ambiente indie, grazie ai vari artisti provenienti dallo stesso, alcuni dei quali ormai riconosciuti dal grande pubblico. Voi quando avete intenzione di compiere questo passo?
Alessio: Quando ci chiamano!
Aimone: Diciamo che non siamo la band più adatta per certi formati e comunque non credo che vogliano neanche chiamarci (ride, ndr). Ovviamente non ci poniamo limiti, ci ragioneremo se avverrà. Quel che è certo è che non piegheremo la nostra produzione a certe realtà, ci andremo se accettano quello che facciamo.
Alessio: Bé, mi sembra difficile che Quelli che il calcio ci chieda di scrivere un pezzo… (ride, ndr)
Aimone: Questo è chiaro! Secondo me dobbiamo comunque “imporre” la nostra produzione, se poi – per qualche motivo – una nostra canzone può piacere, ben venga!
Alessio: Il discorso per noi è semplice: non facciamo marchette. Se possiamo andare e fare quello che ci piace, perché no?
Aimone: Un’esempio di qusto ragionamento sono gli Zen Circus che sono andati lì dal vivo. Basta non fare marchette e dare credibilità alla musica, soprattutto in un periodo come questo in cui sembra che tutto sia prodotto per essere esposto in prima serata, dentro un talent o in qualche varietà.

Dopo la conclusione di questo Tour Finale, quali sono i vostri progetti futuri?
Aimone: Come prima cosa, andremo tutti a fare un viaggio lontano, ognuno per conto proprio. Dopodiché, con molto imbarazzo, qualcuno alzerà la cornetta e chiederà agli altri di andare in sala prove con qualche birra per suonare fino a quando ne avremo voglia. Se vorremmo scrivere nuovi pezzi lo faremo, sennò niente. Senza vincoli.

 

 

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