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[Video Première]: GUIGNOL – La promessa

Guignol

Luciano Bianciardi ne ‘La Vita Agra’ lo chiamava il ‘torracchione’. Si riferiva al grattacielo Pirelli, che considerava il simbolo del potere manipolatore. Nella Milano di oggi quel grattacielo si è riprodotto generando uno skyline stile Tokyo. E’ la Milano della crisi economica e morale; quella distopica e quasi nichilista, ipertecnologica ma povera di prospettive, fobica e disumanizzata.

Racconta così Pier Adduce il video che accompagna “La promessa”, primo estratto dal nuovo disco dei GuignolPorteremo gli stessi panni”. Un brano ispirato da Luciano Bianciardi e a lui dedicato “nel nome di quella promessa che Bianciardi fece all’amico operaio del marmo, scampato al tragico incidente alla cava, prima del trasferimento a Milano, raccontato appunto ne ‘La Vita Agra’ del 1962”.

All’ombra del “torracchione” i videomaker Fabio Gallarati e Riccardo Tettamanti hanno raccontato una piccola storia di resistenza esistenziale, nella quale i protagonisti del video oppongono un modo di vivere differente, all’insegna di un passeggiare per nulla frenetico, di un apparente distacco dalle cose futili per cui ci arrabattiamo ogni giorno, alimentando il desiderio di intrattenersi in modo conviviale o cercando l’emozione di due sguardi che si incrociano. Un atteggiamento, quest’ultimo, che “non rappresenta solo un possibile rituale di approccio o seduzione ma anche un riconoscersi, in una certa maniera, e un concedersi, forse, una possibilità nuova e diversa, nonostante tutto”.

La promessa” è solo una delle storie raccontate in “Porteremo gli stessi panni”, il nono lavoro dei Guignol.

Ispirato dal grande poeta e attivista politico Rocco Scotellaro – di cui vengono musicate due poesie – ma anche dal già citato Bianciardi, da Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, il nuovo frutto della feconda ispirazione di Pier Adduce è un disco che fa incontrare organi fantasmatici, tastiere acidule e chitarre legnose con storie dell’Italia popolare, fra l’estrema provincia e una metropoli travolta da denaro e tecnologie. Sangue, terra, silicio e un forte senso di sradicamento a cui reagire con canzoni cariche d’intensa umanità. Autentici racconti dallo spirito folk per quello che è il disco più cantautorale della band milanese.

Un lavoro che ha messo le proprie radici fra le costole di chi scrive per allungare i propri rami sino alle altezze dei grattacieli e intercettare nell’aria digitale del presente gli scampoli di umanità – disgregata, disperata e rabbiosa, ma sempre vitale e non disposta ad arrendersi – di chi ha mantenuto lo spirito ribelle, come scriveva Scotellaro, della “turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / le maschere coi denti.”

 

 

 

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