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Turbonegro – Rocknroll Machine

2018 - Scandinavian Leather Recordings
rock

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Tracklist

1. Chrome Ozone Creation (The Rock And Roll Machine Suite Part I)
2. Part II: Well Hello
3. Part III: RockNRoll Machine
4. Hurry Up & Die
5. Fist City
6. Skinhead Rock & Roll
7. Hot For Nietzsche
8. On The Rag
9. Let The Punishment Fit The Behind
10. John Carpenter Powder Ballad
11. Special Education


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C’è stato un tempo in cui il rock’n’roll scandinavo poteva contare su animali di razza come The Hellacopters, Gluecifer, The Hives e in ultima istanza proprio i Turbonegro. L’infame band norvegese ha subito preso le distanze dai propri colleghi (s)fregiandosi del titolo di capi indiscussi del movimento deathpunk e forse unici esponenti di spicco di questa declinazione di fatto inesistente della materia in questione.

Assieme a “Supershitty To The Max” degli infernocotteri capitanati da Nicke Andersson le quattro pallottole iniziali dei TurbonegroHelta Skelta”, “Never Is Forever”, il mefistofelico “Ass Cobra” e il magniloquente “Apocalypse Dudes” potevano portare il marchio della ferocia r’n’r stampato dritto in fronte affrontando di petto tutte le band britanniche e statunitensi e talvolta vincendo dieci a zero senza nemmeno tanto sforzo. Da lì in poi il declino, l’abbandono dell’ex lingua tagliente di Hank Von Helvete – indebitamente sostituito da Tony Sylvester – e il nuovo corso iniziato con il tiepido “Sexual Harrassment” che vede la defezione anche di un altro tassello fondamentale nella figura del tastierista Pal Pot Pamparius.

Il silenzio radio durato ben sei anni lasciava sperare in una fine non dichiarata del combo ma l’arrivo del nuovo “ROCKNROLL MACHINE” ha dato ulteriore respiro a qualcosa che andava chiuso almeno tredici anni fa. Perseverare è sì diabolico ma non tutti i diavoli restano cazzuti a lungo se dimentichi della propria abilità di torturatori. Esattamente come capita ai Nostri e che pare continuerà a succedere, sempre che non venga loro in mente che anche una fine – ormai impossibile da definire decorosa – sarebbe la via migliore per non coprirsi – ulteriormente – di ridicolo.

In questo lavoro non solo è andata perduta al 100% la fotta brutale che ha contraddistinto le migliori tappe del percorso del gruppo, ma a questa impossibilità di spinta si è aggiunta pure una moscia inclinazione al classic rock vagliato attraverso una serie di synth indisponenti ad opera del nuovo compare Hakon Marius Pettersen. Il tutto è vieppiù palese in Hot For Nietzsche, osceno ibrido tra i Who più ammorbanti e tastieristici e una versione senza nerbo degli AC/DC.

Gli insert di keyboard sono una vera spina nel fianco e più pescano nello space rock eighties (quindi nemmeno quello buono) e più sfiancano. Antiche vestigia virulente fanno capolino su On The Rag che però rivela la volontà di copiare addirittura i Dead Kennedys – non vi dico né come né dove, ve ne accorgerete ascoltandola – ma non sono assolutamente sufficienti a fronte dei restanti trentacinque, tediosi minuti di sbadigli che trovano il proprio culmine nella stucchevolezza aor di John Carpenter Powder Ballad che più che al regista si rifanno ai Journey e agli Abba.

Nulla può salvare dal baratro un album in cui la macchina del rock’n’roll sembra essersi definitivamente guastata: niente iniezioni di benzina dritte in vena, niente liriche luride e scomode, niente shock, niente di niente. Solo un buco nel cuore della belva, incolmabile e profondo come una coltellata alla schiena. Il risultato è che “ROCKNROLL MACHINE” è uscito nel menefreghismo più assoluto. Com’è giusto che sia da qui in poi.

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