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Interviste

Intervista agli EDIBLE WOMAN

Edible Woman

Lo scorso Novembre io e Andrea Giommi ci siamo sentiti per un breve saluto telefonico. Ci capita ogni tanto, abbiamo lavorato insieme. Mi ha comunicato lo scioglimento di Edible Woman, ma questa notizia lungi dall’intristirci ci ha spronato a decidere di organizzare una piccola intervista, una chiacchiera che ci desse la possibilità di raccontare la band, che è la band con cui Andrea ha suonato più a lungo.

Non solo, in un procedere dal particolare al generale, ci dava la possibilità di ragionare su alcuni cambiamenti avvenuti in ambito musicale negli ultimi anni.

Esordienti nel 2004 e da allora regolarmente attivi con 5 album (“SPARE ME / calf”, “The Scum Album”, “Everywhere at Once”, “Nation” e “Daunting”), Edible Woman sono stati una band in continua evoluzione, in perenne viaggio all’interno di un suono nervoso e curato, rabbioso ma contenuto. Il bardo Julian Cope li ha dipinti “come un gruppo di tori rabbiosi in un negozio di porcellane cinesi”, omettendo soltanto di dire che, grazie a precisione e concentrazione non ne hanno rotta nemmeno una.

Li vidi al TagoFest nel 2007 e li conobbi poi di persona nel 2010 mentre erano in tour in Svizzera. Fu un live incendiario! A quei tempi la stampa li descriveva come un incrocio fra Neil Young, Jesus Lizard e Shellac e da allora li ho seguiti da vicino con molto interesse, arrivando a pubblicare anche un loro split su nastro per Old bicycle records insieme ai Tante Anna nel 2016. Ecco quindi ciò che segue, non una classica intervista, ma un modo per approfondire la loro poetica.

Vi consiglio di farvi accompagnare da una colonna sonora adeguata, tra i loro lavori avrete soltanto l’imbarazzo della scelta…

Esordite come Edible Woman nel 2004, ma già suonavate da qualche tempo, al netto degli anni sono una quindicina e più di azione con un disco ogni 3 anni dal 2004 (piu un paio di split e progetti paralleli). Col senno di poi e ascoltando i vostri lavori in seguito mi sembra che abbiate nutrito per bene la creatura, affinando i suoni ma mantenendo sempre una vostra peculiarità. Vi ho conosciuto, se non ricordo male, acquistando i vostri primi due album al Tagofest del 2007, quindi da una decina d’anni sono attento a quel che fate. Chi o cosa sono gli Edible Woman oggi e che situazione state vivendo al momento?
Ah io ricordo di averti conosciuto a Lugano durante un tour di Leg Leg, nel 2009!
La cronologia di Edible è perfetta e mi sembra corretto dire che abbiamo affinato e modificato i suoni in ogni nostro disco, io lo chiamo ‘cambiarsi di vestito’. Ogni disco con un suono e un colore diverso, ma sotto pulsa la stessa personalità, la stessa natura e soprattutto la stessa scrittura, lo stesso ossessivo e ciclico ritorno sugli stessi temi.
La band ha cambiato spesso formazione e strumenti esibendosi dal vivo come trio o quartetto. Lo abbiamo sempre considerato un progetto aperto nell’interpretazione e chiuso e geloso nella scrittura. Ora viviamo sparsi per il mondo. Luca, che ha cantato nei primi due dischi, fa il contadino a Bologna, Federico è nelle marche, Lorenzo Stecconi è in tour coi Lento o con gli Zu, Mattia Coletti (nostro fonico a lungo) vive in tour, Giacomo vive a Trento, io vivo a Londra, Nicola è a Roma e lavora come agente di DNA concerti, posto privilegiato per anticipare e seguire il cambiamento della musica in Italia.
Edible Woman sono morti; ma pur nella morte tra la musica su cui stiamo lavorando individualmente e quella che stiamo proponendo in altri modi siamo vivissimi, e oggi con un un po’ di distanza dal progetto posso dire che anche le nostre individualità le vedo come uno sviluppo imprevedibile di una collettività già bizzarra.

Mi piace il concetto di singolarità come sviluppo imprevedibile, del resto anche la transizione discografica mi sembra un sintomo, più che di instabilità, di allargamento di orizzonti.
Psycothica, Bloody Sound Factory, Sleeping Star, Wild Love e Santeria, 5 album e 5 etichette discografiche (tralasciando gli split e gli ep); ti andrebbe di spendere qualche parola su ognuna di queste situazioni, incontri e momenti storici degli EW?
Certo cambiare etichetta è sintomatico di una band che cambia spesso suono. E a volte è segnale del fatto che diverse etichette hanno una vita piuttosto breve.
Ti posso fare un esempio; il nostro primo disco ‘Spare me/CALF’ ha un ‘vestito’, un impianto sonoro puramente noise rock, e infatti è uscito per Psychotica Records, etichetta che all’epoca si interessava prevalentemente di quell’approccio schiacciasassi. Già con ‘Everywhere at once’ eravamo arrivati a soluzioni tra This Heat e Cheer Accident, a miglia di distanza dai suoni del primo disco. Se pensi anche al materiale uscito per Old Bicycle Records, 15 minuti tra elettronica poverissima e lirismo post rock, capisci che è sempre stato difficile acchiapparci e anche fatalmente venderci.
Spare me/CALF’ piacque tantissimo in Francia e ci andammo a suonare ripetutamente, ‘Everywhere at once’ fu invece promosso in Inghilterra, anche questo la dice lunga. Una volta entrate strutture complesse e synth nella nostra musica abbiamo perso la Francia, ma siamo finiti in tour con Wooden Shjips e Moon Duo, tra gli altri. Bloody Sound, Wild Love e anche DNA concerti: per motivi e in contesti diversi, queste realtà sono state sinonimo di concerti meravigliosi, tour con realtà stimolanti e diversissime tra loro. Non siamo mai appartenuti a nessuna scena, siamo stati una band orgogliosamente testarda e autarchica, ma ne abbiamo incrociate molte.

Edible Woman

Quello che ho sempre apprezzato di voi è che ogni album, pur cambiando, è rappresentativo del vostro suono. Siete mutevoli, crescendo e cambiando, ma con una coerenza di fondo. Io, pur avendo una preferenza per i primi due album (de gustibus non disputandum est in una landa così vasta), sono rimasto sorpreso ogni volta, sperando anche in un successo (nel periodo Sleeping Star / Wild Love/ Santeria). Quante copie di dischi avete venduto all’incirca e quante persone venivano ai vostri concerti?
Onestamente la band non ha mai fatto grossi numeri. Ci sono state diverse occasioni in cui abbiamo suonato davanti a parecchie persone ma non saprei farti una media. I numeri hanno sempre variato moltissimo. Piú una band per addetti ai lavori. Peró come dice Tom Waits… ‘Mi accusano di essere burbero e di non scrivere hits.. non vedo cosa ci sia di male’. Questa é la cosa che piú mi sorprende oggi, la consapevolezza imprenditoriale delle nuove leve. La ammiro, un po’ mi puzza, e credo sia una prospettiva giusta con cui osservare come le cose sono cambiate. Mi sto vedendo Una performance artistica musicata dai Tomaga. Li conosci? Cosa ti piace tra le nuove produzioni?

Ecco la mia lista del 2017 in evoluzione e la mia lista della spesa futura insieme: Magnetic Fields, Adamennon, Lorde, Vonnemaun, Rkomi, Popolous, Sad Cambodia, Ghali, Glass Vaults, Tabularasa, Wounded Lion, Moder, Prima materia, Daniel O’Sullivan, Sakamoto, Drake, posso continuare…
Mi colpisce questa sorpresa. Mi spiego. Non credo più nel modello della band scoperta, guidata e supportata. O, per lo meno, spero che questo possa accadere ma ritengo che nel frattempo ci si debba auto-organizzare e provare a fare da se, metodo che aiuta anche a capire quanta dedizione e convinzione ci sia nel progetto artistico. Nelle nuove leve vedo una lettura molto più scafata di queste cose, una capacità di organizzarsi e di espandersi a livello quasi endemico che non ho mai visto prima (penso al giro trap tramite i video su YouTube ad esempio). Nel rock e nella sperimentazione invece mi sembra ci si pianga addosso e ci si lamenti se i propri dischi restino invenduti pur se stampati in 200 copie, quando la notizia dell’uscita è stata condivisa da 500 amici virtuali che alla resa dei conti fanno 15 copie vendute e 10 regalate. Credi possa essere una fotografia del mercato attuale?
Uh Daniel O’Sullivan lo ho conosciuto questa estate a Birmingham, lo vado a vedere suonare qua quando posso. Ha fatto un disco solista pazzesco quest’anno. Quello Che dici del mercato é vero. Secondo me una situazione del genere si crea anche perché non c’é stato un ricambio generazionale in certi ambiti, no? Se vado a un live kraut, psych, impro, noise,etc vedo gente della mia etá o piú vecchi. Qui a Londra tra Café Oto, Corsica Studios, fino al Jazz Café, all’Underworld, in questi e altri 100 locali non vedo ragazzini. E allora c é gente che resiste ma molti altri fisiologicamente un po’ mollano, ed ecco che sia la presenza fisica e la presenza online latitano e I’attenzione diminuisce.
Io credo che non sia cambiato solo il modo di comunicare, ma anche quello di percepire e inquadrare certe cose; mi spiego, non ti pare che tutta l’estetica dell’esibizione del denaro, della figa, dei tatuaggi magari appoggiata su pezzi invasi di autotune siano elementi troppo distanti a volte per noi? Intendo noi trentacinquenni amanti di Nabokov e della Penguin Café Orchestra…Oppure nell’ hip hop, tutta la retorica del farcela partendo dal basso e il sottolineare continuo del proprio status raggiunto, il denaro come legittimazione di un percorso..Io ascolto Kendrick Lamar, molto Frank Ocean, credo che per la prima volta da molto tempo ci siano artisti mainstream che fanno musica interessantissima. Ma lo vivo con una certa distanza, non mi puó appartenere totalmente. Invidio molto chi é riuscito a fare questo passaggio con meno attriti rispetto a me, invidio sempre la leggerezza, in Blake Edwards come in Roger Federer, e invidio anche chi invece resiste dall’ altra parte e queste cose le considera marginalmente.
Io sto in mezzo: everywhere at once. Or nowhere.

C’è comunque, in questo mezzo, un mondo parecchio attivo. Nel vostro percorso vi siete accompagnati spesso a gente come Mattia Coletti, Lorenzo Stecconi, Jonathan e Refo di Bloody Sound, persone concrete ed attive in questo terreno. Nicola invece, col lavoro in DNA, mi pare proiettato in un mondo più ampio se così si può dire. Anche tu a Londra con i tuoi progetti laterali mi sembri bello impegnato (ricordo il nastro con Alessandro Gobbi e Matjaz Mlakar ed i Sons of Viljems) ed aperto alle collaborazioni…avete dei sogni nel cassetto in questo senso, sia come EW che come progetti paralleli?
Come Edible Woman non abbiamo cose in vista, al momento credo che l’energia della band sia esaurita. È un ciclo durato anni, è una band che si è trasformata mille volte. The Emerald Leaves sono in pausa indefinita dopo aver fatto tante e belle date in due anni. Qui è una questione di divergenze artistiche, una gran ragione per non fare, secondo me. Per quanto mi riguarda, vivo in una citta’ meravigliosa, che continuo a scoprire. Il mio obiettivo è suonare di più qua, con Sons of Viljems e in altri progetti. Fino ad ora lo ho fatto solo sporadicamente. Al momento oltre a Sons of Viljems, con cui farò un po’ di live a Londra quest’anno, sto lavorando su due progetti separati con Nicola Lombardi di Uyuni e con Mattia Coletti, progetti ancora allo stato embrionale ma già capaci di occupare la mia mente senza sosta, il che è quanto di meglio si possa chiedere alla musica: di essere un’ossessione.

Mi interessa (e credo sia stata la vostra forza) quel che ritieni sia rimasto uguale in questi anni di Edible Woman; ti dirò, tra tutte le strade percorse io penso di riconoscere un piglio nervoso, un’urgenza che mi sembra essere peculiarità vostra. Per sostenere la mia tesi ho fatto un collage di diverse recensioni sui 7 lavori fatti uscire da voi (5 album e 2 split, con Drink to me e Tante Anna) che mi sembra parecchio spendibile come vostro sunto sonoro:

Edible Woman è l’ennesimo gruppo che suona post-core in Italia.
L’inserimento del synth in vece della chitarra ha portato ad una rielaborazione e ridefinizione del suono che ha avuto come prima conseguenza l’amplificazione delle strutture post-punk sottese al primo disco.
Non è facile sostenere il viaggio che la band ha preparato: un lungo volo su scenari in perenne mutazione emozionale, impossibile da decifrare a prima vista. ritmiche serrate, distorsione in aumento, per arrivare a un energico cocktail di post-rock, math-rock e sperimentazione di matrice post-punk, una sorta di Tuxedomoon che incontrano i Don Caballero. Senza perdere in potenza acquistano nuove chiavi di lettura, mica un cattivo affare.
E il risultato non delude, ascoltare per credere.

Vi ci ritrovate?
Bella recensione! Sono abbastanza d’ accordo. L idea di urgenza e tensione sono sempre stati presenti. Un altro elemento tipico nei nostri brani é la presenza di lunghe code, di finali ripetitivi che non ‘risolvono’ il brano, ma lasciano inebetiti aumentando l’effetto di straniamento che giá il brano offriva. Io non sono un grande fan del post punk piú urticante, non riesco ad ascoltare a lungo che ne so, talking heads o pop group, solo due esempi.. mi trovo piú a mio agio con musica ‘calda’, morbida, piena di groove rispetto a cose taglienti. Posso ascoltare soul music, o dischi sconvolgenti e difficili come Rock Bottom di Robert Wyatt, gemme 60s come ‘Cauldron’ dei Fifty Foot Hose, sulle cose spinte invece adoro Slayer e Converge. Il post rock lo ho lambito, ma lo amo solo quando quell’approccio diventa altro grazie al songwriting (per esempio Slint) o al groove (Tortoise, June of 44)…
Edible hanno sempre avuto una botta piú metal-core che post rock, piú complessitá nelle strutture rispetto al noise, e a tratti ci siamo concessi squarci di melodia assoluta. Esempi: pensa a ‘a different top’ e ‘toss’ su SPARE ME/calf, una violenta l’altra iper melodica, il groove di ‘The beat goes on’, ‘When stars’ o ‘Entomology’.. Melodie, grooves…Oppure pensa a ‘Cancer’ su ‘Nation’, pura melodia e pura aggressione. Chiaroscuri esacerbati in ottica espressionista. La ricerca degli estremi é sempre stata importante per noi sia come tematiche che come condotta di tour.

Beh, mi sembra che un bell’excursus nel mondo di Edible Woman ce lo siamo fatto…prima di lasciarci vorrei però chiederti altre due cose. In primis 2 cinquine di album, quelli importanti per la creazione ed il suono degli Edible Woman e quelli recenti, diciamo negli ultimi 2/3 anni, che consigli a chi magari verrà incuriosito da questa intervista e volesse rimanere sul pezzo.

Dischi della Bildung:

– Stereolab – ‘Transient random-noise bursts with announcements’

– Converge – ‘When Forever comes crashing’

– Led Zeppelin – ‘Houses of the holy’

– Jim O’Rourke – ‘Eureka’

– The Specials – ‘S/T’

Dischi dello Zeitgeist:

– Andrea Belfi – ‘Natura Morta’

– Frank Ocean – ‘Blonde’

– Daniel O’Sullivan – ‘Veld’

– Richard Dawson – ‘Peasant’

– Tomaga – ‘The shape of dance’

 

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