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Oneida – Romance

2018 - Joyful Noise Recordings
psychedelic rock / krautrock

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Tracklist

1. Economy Travel
2. Bad Habit
3. All In Due Time
4. It Was Me
5. Good Lie
6. Lay Of The Land
7. Cedars
8. Reputation
9. Cockfight
10. Good Cheer
11. Shepherd’s Axe


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Protagonisti di quel fermento creativo che archiviati definitivamente gli anni ’90, almeno dal punto di vista cronologico, ha prepotentemente riportato la scena alternativa newyorkese all’attenzione di pubblico e critica favorendo l’esplosione di band come Interpol, Yeah Yeah Yeahs! e Strokes, gli Oneida tornano a farsi sentire a due anni dal disco realizzato in collaborazione col chitarrista e compositore Rhys Chatman.

A oltre tre lustri dal seminale “Each One Teach One”, manifesto di un approccio straniante e tutt’altro che convenzionale alla materia rock – sebbene il gruppo fosse già al quinto album – ritroviamo i cinque musicisti di Brooklyn esattamente come li avevamo lasciati. Ovvero: alle prese con un caos organizzato a base di derive psichedeliche e tentazioni elettroniche, istintività primordiale e argute finezze avanguardistiche.

Ancora una volta la totale libertà compositiva con cui il gruppo opera si rivela foriera di espedienti inusuali e accostamenti tanto arditi quanto efficaci. È senz’altro il caso del singolo All In Due Times, obliquo e dissonante, scandito da una sessione ritmica ossessiva e un pastiche di tastiere e chitarre distorte, benché solcato da una melodia vocale tutt’altro che ostica. In soli tre minuti la band riesce a fornire un campionario della molteplicità di stili tra cui è in grado di districarsi con assoluta naturalezza e padronanza di mezzi.

Le acide texture elettroniche dell’opener Economy Travel, con la voce lontana e disincarnata lasciata sullo sfondo e l’eruttivo drumming di Kid Millions in primissimo piano a fare da raccordo costituiscono l’introduzione ideale al riff abrasivo di Bad Habit che riporta inevitabilmente alla memoria le esplorazioni cosmiche dei Pink Floyd guidati da Syd Barrett. E il tutto non può che collimare in un tripudio di effetti e chitarre squisitamente noise.

Come al solito però è nei brani lunghi e articolati che il quintetto riesce a esprimere il meglio di sé. Lay Of The Land è un trionfo di minimalismo e reiterazione. Personalmente però è agli oltre diciotto minuti della folle cavalcata di Shepherd’s Axe che assegnerei la palma di migliore traccia dell’album. Introdotta da un organo arioso che rimane protagonista assoluto fino a che non giungono gli altri strumenti a ricordarci il mai sopito amore della band per il krautrock, salvo poi sfociare in un groove tanto corposo quanto instabile.

L’originalità non viene comunque lesinata anche in tracce dalla durata più contenuta. Si prendano ad esempio l’avvolgente crescendo della malinconica Good Lie, il tiro incredibile e praticamente punk della bellissima Cockfight, che si risolve in una strascicato congedo di synth e la levità ossessiva quasi claustrofobica di It Was Me, di cui si attende col fiato sospeso un’esplosione che però non arriva.

Non che sia una novità per il quintetto in esame ma “Romance” non è affatto un ascolto facile. Di primo acchito potrebbe dire poco o addirittura annoiare. Ma tante e tali sono le sfaccettature che compongono la sua variegata e mutevole trama sonora, al solito intessuta con spregiudicatezza e classe invidiabili, che non concedergli il giusto numero di ascolti per sviscerarne la fulgida complessità sarebbe un vero peccato.

Come il vino buono accresce il proprio pregio invecchiando la percezione della bellezza di questi undici brani cresce ascolto dopo ascolto.

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