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“Meteora”, il miglior peggior disco dei Linkin Park

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Bissare il successo planetario di un disco come “Hybrid Theory” è un atto che non sarebbe riuscito a molti, men che meno riuscire a riproporre una formula così furbescamente riuscita che racchiudeva in sé tutti gli elementi propri dell’astro nascente della scena nu metal in maniera così pop ed estremamente vendibile, ma non per questo meno valida.

I Linkin Park però tre anni dopo tentano il colpo con “Meteora” e lo fanno azzardando l’allontanamento da alcuni degli elementi che hanno reso celebre il debutto della band del compianto Chester Bennington e Mike Shinoda tanto amata dal pubblico teen dell’epoca – del quale il sottoscritto faceva ampiamente parte per cause anagrafiche – dando l’impressione di essere un gruppo con le palle, illudendoci un po’ tutti come avremo modo di vedere nel futuro prossimo del quintetto (d’altro canto non stiamo mica parlando dei Deftones).

Ma sul momento sembrava che la strada giusta fosse ampiamente presa e la voglia di indossare i pantaloni larghi per gridare merda in faccia a tutti potesse essere sempre più alla portata di tutti anche se in modo sempre diverso, mai rinchiuso in dinamiche di immobilismo ma come dicevo prima era solo una pia illusione, ora lo sappiamo.

Se commercialmente l’album va bene, pur non quanto il suo predecessore, in quanto a contenuti il gruppo sa il fatto suo e dimostra di essere cresciuto sotto molti aspetti. Pur non stravolgendo la ricetta di base i Linkin Park spezzano subito alcune catene e inseriscono tra le pieghe del proprio sound situazioni sintetiche non sempre digeribili radiofonicamente, fermo restando che sempre di “pop” si parla.

Linkin Park

Non c’è un fil rouge di intenti come in “Hybrid” ma si sente la volontà di spingere sull’acceleratore in maniera prepotente. C’è tanto rock viscerale come dimostra l’assassina opener Don’t Stay – che non racchiude nemmeno un secondo di hip hopping – o il picco alternative scudisciante di Faint coi suoi assurdi archi compressi a 8-bit. L’album ha un sostrato estremamente urbano e prova ne è già l’artwork, la musica segue di conseguenza: la devastante Lying From You e il suo incipit ultra rap che chiama a raccolta tutte le influenze wutangclaniane dei nostri con uno Shinoda in stato di grazia ad introdurre la natura multiforme di Bennington che prima contrappunta poi implode in grida senza posa in un breakdown plumbeo.

Stessa materia da plasmare e farlo in maniera ancor più pressante e “sperimentale” e killer con l’immensa badilata nu Hit The Floor durante la quale la presenza elettronica diventa ancor più asfissiante, brutale, nitida. Non mancano le cadute di stile nel richiamare spudoratamente in causa il primo disco su Numb, Easier To Run (il vizietto di Chester di scrivere ballad stracciamutande mai sopito) e Figure.09, auto rip-off al limite della vergogna di One Step Closer, ma il combo si fa presto scusare con la classe electro-pop tutt’altro che rassicurante di Breaking The Habit e il tributo allo shogun/shaolin-hip hop a memoria GZAiana dell’assurda Nobody’s Listening, vero punto chiave dell’intero lavoro.

Cacciare fuori un disco della discordia al secondo appuntamento col grande pubblico avrebbe potuto trasformarsi in una presa del coraggio mancato di cui sopra. Forse nessuno come i Linkin Park in termini puramente numerici avrebbe potuto mostrare un lato altro ad un pubblico sempre più seduto sulle facilonerie di inizio anni ’00, e invece la discografia della band ha dimostrato come il terrore di perdere pubblico possono portare una buona realtà all’inappetenza artistica fino a far spegnere quel poco di buono collezionato in due dischi, mascherando il tutto da volontà di cambiamento. Una scusa buona per tutte le occasioni di questo tipo e detta da così tante persone da risultare ormai una barzelletta.

Meteora” rimane comunque una prova di forza di rilievo e da tale va trattata/ricordata, e lo era sia al tempo in cui eravamo in piena tempesta ormonale sia oggi che siamo vecchi e malmostosi – parlo sempre di me.

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