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Gerda – Black Queer

2018 - Wallace Records / Shove / Sonatine Produzioni / Bloody Sound Fucktory
hardcore / metal

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Tracklist

1. Jeg Kjører inn i Tunellen
2. Lulea, TX
3. Mare
4. Terzo regno
5. Notte
6. Hafenklang
7. Figlia
8. Theme


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Ricordo il retro di una t-shirt, che ho avuto il tempo di desiderare da ragazzino e ritenere arrogante e inadatta al mio aspetto ordinario una volta cresciuto: recitava “EXTREME MUSIC FOR EXTREME PEOPLE” a caratteri cubitali ed era una maglietta dei Morbid Angel, periodo Tucker-Rutan (una band che, a scanso di equivoci, continuo ad amare). Ecco, quella maglietta, che alla fine non ho mai posseduto, quello slogan, mi sono tornati in mente, dopo diversi anni passati in qualche antro nascosto del mio cervello, la prima volta che ho visto i Gerda dal vivo, per strada, a Milano, e continuano a tornarmi in mente ogni volta che affronto la band di Jesi. Due i motivi principalmente, il primo legato alla “MUSIC” e il secondo alle “PEOPLE”.

L’intensità e l’immediatezza della proposta dei Gerda hanno contribuito a ridefinire le coordinate di ciò che considero “estremo”, slegandole dai precetti del “louder, faster, heavier” che avevano guidato le mie ricerche adolescenziali e costituiscono ancora oggi per me, inconsciamente, il metro di giudizio più istintivo. L’estremismo dei Gerda non si identifica tuttavia solo con la qualità dell’assalto sonoro di cui sono ostinati protagonisti, ma anche e soprattutto con il modo in cui intendono la musica, segnato da un’alterità profonda rispetto a qualsiasi dinamica promozionale, rispetto a qualsiasi velleità estetica, e contraddistinto da un legame autentico e viscerale con quanto creato. Un senso di urgenza e verità, un contatto fisico costante, in cui all’ascoltatore viene chiesto di prendere tutto o lasciare ogni cosa dov’è, senza possibilità di giungere ad alcun compromesso.

Non che siano degli ortodossi, i Gerda, anzi. Il loro percorso è caratterizzato da una sperimentazione continua, una ricerca del caos in cui la sintesi non è mai conosciuta a priori, un linguaggio sempre più definito dalla permanente sovrapposizione di diverse idee ritmiche, armoniche e liriche. La distanza tra il nuovo “Black Queer” e il precedente “Your sister” è dunque la stessa che separava quest’ultimo e il disco del 2009 che portava il nome della band stessa: una distanza non misurabile, che chiama in causa l’ascoltatore rendendolo parte attiva del processo creativo della band. Ogni capitolo della discografia dei Gerda infatti impone a chi intenda addentrarvisi di presentarsi disarmato e dotarsi progressivamente di strumenti sempre nuovi per affrontare la materia modellata dalla band, cercando innanzitutto di resistere all’impatto e, solo in secondo luogo, provare ad individuare una possibile linea guida che permetta di ricostruire una cornice di senso complessivo.

Se il già citato “Your sister”, votato ad un’aggressione senza tregua, condotta da una voce belluina sempre in prima linea e da ritmiche convulse, lasciava alla chitarra il compito di stordire e disorientare l’ascoltatore, “Black Queer”, nel continuo testacoda di direzioni contrapposte lucidamente perseguito dalla band, sembra affidare alle sei corde il ruolo di organizzare e condizionare l’andamento delle composizioni, lasciando trasparire una fragilità e una desolazione inedite. “Se prima suonavamo con la volontà di distruggere, ora lo facciamo con una cosciente rabbia per qualcosa che non doveva andare perso e distrutto”. La bestia appare ferita, ma non certo doma: non cambia infatti l’impatto, a conferma di come a definire la musica dei Gerda siano gli stimoli che i quattro di Jesi immettono nel proprio magmatico processo creativo più delle composizioni che emergono, di volta in volta, da questo. Un altro elemento di continuità è rappresentato dalle etichette impegnate a supportare la band in questa nuova uscita, ognuna meritevole di attenzione e di mezione: la fedelissima Wallace Records, l’onnipresente Shove, l’attenta Sonatine Produzioni e la conterranea Bloody Sound Fucktory.

Black Queer” è dedicato a Francesco Villotta, “musicista e inquieto inseguitore dell’assoluto”, voce e chitarra dei Vel, band anconetana di cui i Gerda rileggono, in questa sede, Figlia. C’è anche spazio, in chiusura, per una cover dei PIL: queste due ultime composizioni, seppur non autografe, si inseriscono nel flusso che attraversa l’intero lavoro senza implicare alcuna discontinuità ma confermando anzi come una costante e insistita esplorazione del caos muova necessariamente da riferimenti chiari e solide basi.

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