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Back In Time

“THRAK”, dinosauri progressivi a piede libero per le strade degli anni ’90

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C’è stato un momento nella mia vita (che potrebbe non essere affatto passato) in cui nutrivo un’orrorifica e pedante fascinazione per i produttori di dischi, prima ancora degli artisti che li avevano composti, ed è proprio così che ho scoperto At The Drive-In e Slipknot – i primi all’allora ultimo album e i secondi all’esordio – e ancora i Glassjaw ossia leggendo sul retro del CD, nei miei indecenti raid dal negoziante di fiducia da buon teenager ansioso, la presenza di Ross Robinson o meglio la mia vera e propria luce nel buio di quei magici anni in “assenza” di Internet.

THRAK” dei King Crimson però non è entrato in casa mia per questo motivo, ma avrebbe potuto. Il mio amore illimitato per la creatura di Robert Fripp mi è stata passata in tenerissima età da mio padre e da quel momento il gruppo non è mai uscito dalla mia testa. Il perché del fatto che l’acquisto in questione possa essere avvenuto a causa del produttore è presto detto: dietro al banco mix dell’undicesimo album in studio del Re Cremisi sedeva nientemeno che David Bottrill. Questo nome, per me, significava solo ed esclusivamente una cosa: Tool (il produttore li avrebbe incontrati lo stesso anno per dare vita ad “Aenima”).

Il disco in questione è importante poiché sancisce la rinascita dei KC – sciolti dal chitarrista/mastermind dopo il tour in supporto al precedente “Three Of A Perfect Pair” – pur mantenendo parte di quella fortunata line-up, e a mio avviso la migliore dalla nascita del collettivo, composta da Belew, Levin e Bruford a supportare (e presumo sopportare) Fripp con l’aggiunta altrettanto fortunata del tocco devastante di Trey Gunn con la sua Warr Guitar e delle intricate trame percussive di Pat Mastellotto.

Sin dalla copertina è chiaro il percorso che il double-trio intraprenderà nei brani, una strada irta di oscurità e pesantezza mitigata – o implementata – dall’incredibile estro melodico dei sei e in particolare di Adrian che con la sua voce e le sue imperiose pennate ritmiche di chitarra dona intensità ad ogni singolo brano (forse forte dell’esperienza in studio con Reznor) e a dimostrarlo c’è l’irraggiungibile potenza obliqua e ottundente di Dinosaur, canzone che svetta su tutte per la sua struttura classica ma che porta il Re a testa alta nei feroci anni ’90, ancora comunque ubriachi del proprio gusto seventies per le avanguardie e la struttura delle composizioni.

Sex Sleep Eat Drink Dream mantiene alta la concentrazione di aggressività plagiando il verbo funk imbastendolo di elettricità fulminee e svisate abbacinanti ben oltre il limite del metallico andante, furenti ed elefantini come mai prima d’ora con le varie chitarre a far breccia nel condotto uditivo. Il delicato grigiore jazz di Walking On Air rimanda agli anni della “Corte” e carezzano l’animo attraverso costrutti vocali intesi e strutturati con classe superna, così come le atterrenti decostruzioni lucifughe della destabilizzante title-track.

Non solo chitarre ma anche tribalismi ritmici affiancati da rumore di matrice industriale che appesantiscono ulteriormente il tutto (prova ne è la tagliente B’Boom), e sempre sul pianeta industrial si rimane all’ingresso di People tanto che se distratti – o semplicemente ignari – si potrebbe credere di assistere all’incontro fantascientifico tra i NIN e Peter Gabriel affetti da certi depechemodianesimi provenienti da “Violator”. Chiudono il cerchio le tre VROOOM a donarci il quadro completo di un gruppo che sembra di non voler smettere di muoversi verso sentieri molto più aspri. A dimostrazione di quest’ultima tesi “The construKction of light” e l’ultimo incredibile “The Power Of Believe”, due dischi che definire devastanti sarebbe poco.

Ora che il Re sembra essersi smarrito tra autocitazionismo e voglia di tornare indietro – cosa inusitata per una mente brillante come quella di Fripp – “THRAK” assume una luce totalmente differente che lo porta ad essere l’embrione di qualcosa che è rinato per troppo poco tempo (ma anche Belew non sembra passarsela benissimo data la natura imbarazzante dei Gizmodrome), che avrebbe potuto tanto, ci ha provato ma qualcosa – forse la follia – non ha funzionato come avrebbe dovuto portando la macchina a quietarsi per sempre, concerti retromaniaci a parte.

I King Crimson rimangono comunque una scintilla nel buio della stucchevolezza prog e delle manette a due mani mentre si parla di progressioni d’accordi che non vanno da nessuna parte, volenti o nolenti, ora e sempre.

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