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“Catartica”, il sinuoso rumore dei Marlene Kuntz

Marlene Kuntz
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Correva l’anno 1994. Un anno rimasto alla storia per eventi vari, per la nascita della PlayStation, per il secondo posto dell’Italia ai Mondiali americani, sconfitta ai rigori dal Brasile e nondimeno per l’approdo di Silvio Berlusconi sulle sponde politiche italiane. Per quanto concerne l’aspetto musicale il 1994 è da ricordare tra le annate più prolifiche mai esistite: dischi bellissimi e rimasti nelle glorie postume hanno visto la luce nell’arco di quei 365 giorni (sono davvero innumerevoli da menzionare tutti, diciamo che “Grace” di Jeff Buckley, “Definitely Maybe” degli Oasis e “The Downward Spiral” degli insuperabili Nine Inch Nails possono rendere l’idea. Ma anche “At Action Park” degli Shellac e “Superunknown” dei Soundgarden).

Anche l’Italia sembra prendere posizione in merito: i primi anni Novanta in generale hanno rappresentato una fase di cambiamento nel rock nostrano, evidentemente plasmato dai modelli americano e inglese che all’epoca sfornavano continuamente band di tutto rispetto. A padroneggiare in quella fortunata/sfortunata scena apparivano figure, fra le varie, come quella degli Afterhours, i C.S.I. di Giovanni Lindo Ferretti nati dalle ceneri dei teatrali CCCP e gli appena nati Marlene Kuntz. “Catartica” è il loro esordio discografico, un disco non solo destinato a restare nella testa e nel cuore di quella generazione che ha fatto degli anni Novanta uno stile di vita anche una volta che quest’ultimi sono volati via, ma soprattutto volto a spianare una strada nuova nel rock indipendente italiano diventandone ben presto una pietra miliare.

Già dall’intro gracchiante del disco, che ha come titolo l’acronimo di questo all’epoca ignoto quartetto proveniente da Cuneo, M.K., si percepisce un profumo di freschezza e di novità servite su di un vassoio di “onde di parole” e fischi rumoreggianti alla maniera dei colossali Sonic Youth, a cui i Marlene molte volte, non a caso, sono stati paragonati. Tutte caratteristiche assenti fino ad allora, d’altronde si sa che la musica nel bel Paese si è sempre preposta altre direttive. Tornando al brano in questione, è stato scritto con l’idea di porsi ideologicamente contro il rap che imperava liberamente e che non faceva sì che altri generi musicali altrettanto (se non più) meritevoli venissero valorizzati. Il processo catartico di liberazione e di purificazione, per come veniva inteso nella religione greca e che rappresenta la grande morale del disco, diventa effettivo incedendo nell’ascolto, procedendo nella tracklist. E difatti, dopo l’assaggio del primo vero brano, con i chitarroni tanto ambiti dalla tradizione noise di Festa Mesta, si entra nello spirito vero e proprio di “Catartica“, si esce dal proprio corpo per entrare nel vivo dell’eleganza sonora firmata Marlene Kuntz. 1°2°3°, Sonica e Lieve ne sono ulteriori esempi lampanti, sono canzoni divenute inni generazionali che hanno contribuito ad ingigantire a dismisura il ruolo che i Marlene Kuntz hanno avuto, e continuano ad avere, nella scena a cui appartengono.

La penna di Godano ha cominciato a farsi notare proprio dai testi di “Catartica“, sia per la sinuosità e per il romanticismo di versi come “spesso vorrei la magia di quegli odori che ci univano al cielo / oh non temo la nostalgia anche se sento di esser sempre più il solo”, da Trasudamerica, per la crudezza mirata all’apatia della provincia come “noi stiamo per generare l’idea di vomitare sui vostri piatti migliori / e stiamo per eliminare chi non si sporca le mani e dentro al Cuneo muore”, da Fuoco Su Di Te, e chiaramente nondimeno per la poeticità, ormai proverbiale, del leader dei Kuntz. Molteplici sono i brani in cui compaiono i tratti distintivi della raffinatezza e dell’accuratezza lirica di Godano, è riduttivo menzionarne una o due, ma senz’altro fra le canzoni più emblematiche risultano la già nominata Sonica (“fragori nella mente, rumori, dolori / lampi, tuoni e saette, schianti  di latte / fragori a albori universali”) e la celebre Nuotando Nell’Aria, riuscitissima nell’insieme ma ancor di più nel testo che fa dell’amore spirituale il suo leitmotiv (“è certo un brivido averti qui con me, in volo libero sugli anni andati ormai / e non è facile dovresti credermi sentirti qui con me perché tu non ci sei / mi piacerebbe, sai, sentirti piangere anche una lacrima per pochi attimi”).

Eh, i Marlene. Un grande capitolo della musica alternativa italiana, azzardo perfino definendolo quello più completo, pur rendendomi conto della soggettività e del gusto personale che ne deriva da un pensiero analogo. Una cosa è certa però: riascoltare un disco come “Catartica“, o semplicemente tenerlo tra le mani soffermandosi sull’attraente copertina raffigurante quell’immenso fiore, rievoca inevitabilmente quella bella decade dei Novanta, satura di motivi per cui ricordarla ed elogiarla. A distanza di più di vent’anni dalla pubblicazione è sempre bello affacciarsi da quella finestra dei ricordi grazie alle note e alle parole di ognuno dei 14 brani, e farlo “in volo libero sugli anni andati ormai”.

Allo stesso modo è stato bello sentire il disco riproposto nella sua interezza in occasione del tour celebrativo dei vent’anni nel 2014, che ha visto la band a zonzo in lungo e in largo per l’Italia con (quasi) la stessa energia dei primi anni. Vederli tornare indietro nel tempo, e farlo analogamente a loro come in preda ad un processo osmotico, ha dato prova di quanto quei quattro ragazzi piemontesi siano ancora in grado di trasmettere emozioni esattamente come venticinque anni fa.  

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