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Back In Time

Back in Time: NINE INCH NAILS – Year Zero (2007)

Nine Inch Nails

Persino nelle società democratiche dove i diritti civili sono rispettati, la trasparenza delle nostre vite modellerà decisamente i nostri atteggiamenti. Nessuno è mai stato capace di vivere in una società trasparente.
(Manuel Castells, Galassia Internet)

Le ritmiche marziali e piuttosto scontate di “Year Zero” lasciavano intravedere un punto di interruzione in una sorta di traiettoria circolare. Le critiche avant-mestruali che ricevette “With Teeth” erano forse indirizzate a produrre l’unico effetto possibile, e cioè quello di riportare i NIN entro una dimensione più riconoscibile.

Probabilmente l’uscita e l’accoglienza del disco finirono per rendere ingiustificate le stesse critiche che l’artista aveva ricevuto per il suo predecessore. “Year Zero” riprende trame scontate e sonorità che interrompono una qualche evoluzione musicale nel progetto Nine Inch Nails, senza sottrarsi a uno sfruttamento di ritmiche più molli e meno ruvide.

Ma questo lato dell’album è solo uno dei punti sul quale poggia il disco. Il materiale sonoro fu surclassato, schiacciato, fagocitato dalla campagna promozionale che questo lavoro ricevette. Chi stava cercando le idee e l’ispirazione nei versi o nelle sonorità è rimasto deluso. Reznor aveva scelto di spostarsi quasi completamente entro un piano concettuale più scenografico.

Year Zero” è un immenso altopiano sul quale sono distribuite le macerie di una comunità spazzata via da una catastrofe. L’immagine, a questi tempi, sarebbe potuta sembrare anche credibile e realistica, nella sua accezione di “futuribilità”.

Da lì a qualche mese, infatti, una crisi finanziaria senza precedenti avrebbe spazzato l’economia statunitense e quella mondiale. Così come accadde per l’11 settembre, da questo evento in poi ripresero vita teorie senza alcun senso che parlavano di signoraggio bancario, di Nuovo Ordine Mondiale e gruppo Bilderberg.

Più che per precorrere i tempi, tuttavia, quello di Reznor fu una sorta di sfogo per i 6 anni che avevano preceduto l’uscita del disco. L’immagine della desolazione sarebbe dovuta essere la naturale conseguenza delle azioni dell’amministrazione Bush che aveva estremizzato, secondo alcuni pareri, il concetto di “controllo” sulla società. Il Patriot Act era una realtà ormai da anni e l’intelligence statunitense necessitava di mezzi più diretti per accedere a informazioni che non apparivano in alcun faldone.

Nine Inch Nails

La cosa più ovvia che si potesse fare, per chiunque si sentisse violentato e privato della propria libertà, era quella di rifugiarsi in un luogo che eludesse qualsiasi controllo. Dai tempi di Napster, un’unica dimensione rispettava questi parametri: internet. La visione semplicistica di Reznor relativamente a questa risorsa si esaurì in una bambinesca rappresentazione di una caccia al tesoro in luoghi più o meno nascosti. Se fosse stato un film si sarebbe potuto agevolmente chiamare “Alla ricerca della chiavetta USB”.

Sebbene rappresentasse una sorta di novità, il labirintico set promozionale del disco si incartò su se stesso e si ridusse a una piccola parentesi di quel secondo scorcio di anni ‘00. Tant’è vero che, appena qualche mese dopo, l’album fu musicalmente scavalcato dal suo omonimo disco di remix.

Il contenuto di “Year Zero” era concentrato in poche apprezzabili tracce che mostravano la sempre puntuale capacità nella produzione di Reznor. In questo album, così come nel precedente “With Teeth”, si è potuto apprezzare ancor di più l’apporto di Atticus Ross, ormai diventato la terza palla di Trent Reznor.

Hyperpower prima e The Beginning Of The End dopo sono una buona apertura per questo lavoro concettuale. Il tema centrale sono gli Stati Uniti d’America nel 2022. Una versione estremizzata del Commonwealth nel XIX° secolo. Quest’influenza abbraccia tutte le terre emerse del globo. Il controllo è esercitato anche attraverso l’utilizzo di sostanze psicotrope. Se fin qui non vi siete annoiati allora aspettate di ascoltare il trittico sonoro forse più noioso e ridondante dell’intera discografia dei Nine Inch Nails. I brani The Good Soldier, Vessel e Me, I’m Not sembrano prodotti la domenica pomeriggio, verso le 19.

Year Zero” è forse la più grande scommessa di Trent Reznor. Il concept avrebbe potuto funzionare appieno solo se ad accompagnare il fantasioso lavoro scenografico fossero intervenuti anche i principi musicali che hanno caratterizzato la carriera dell’uomo da Mercer.

Questi si intuirono solamente in brani come My Violent Heart. Il diamante di questo disco. Se fosse stato un pezzo interamente strumentale si sarebbe guadagnato un Oscar in qualche categoria speciale. In generale, il mood vocale di Reznor, per l’intero disco, è dimesso e poco convinto.

Year Zero” rappresentava la risposta rabbiosa di Trent Reznor a tutta una serie di eventi ben poco felici. In primo luogo il flop di “With Teeth”, subito dopo il contatto con una realtà straniante e infelice, in un tempo in cui la società stava ripensando se stessa per imparare a convivere con le emergenze e i nuovi pericoli.

Guardiamo più avanti senza pretendere un nuovo “The Downward Spiral“. Il “futuro” dei Nine Inch Nails, a partire dalla mediocrità di lavori come “Hesitation Marks” (quello sì prodotto senza alcuna cura), si sarebbe sviluppato in maniera ancor più contorta rispetto a quei giorni del 2007. A quei tempi Reznor aveva grandi progetti per “Year Zero”. Lo vedeva come un nuovo inizio. Una sorta di filone da sviluppare con grande attenzione.

Tutto questo (per fortuna) rimase solo nelle intenzioni. Con il tempo si persero le tracce di quel 2022 che già adesso, a pochi anni dal traguardo, sembra impossibile da far coincidere con le tematiche dell’album.

year zero

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