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Underoath – Erase Me

2018 - Fearless Records
post-hardcore / metal

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Tracklist

1. It Has To Start Somewhere 
2. Rapture 
3. On My Teeth 
4. Wake Me 
5. Bloodlust 
6. Sink With You 
7. Ihateit 
8. Hold Your Breath 
9. No Frame 
10. In Motion 
11. I Gave Up


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Good God, if your song leaves our lips
If your work leaves our hands
Then we will be wonderers and vagabonds
They will stare and say how empty we are
How the freedom we had turned us up as dead men

La sera di martedì 2 ottobre del 2012 ero a casa di Chad. In televisione davano Il Gigante di Ferro di Brad Bird. Eravamo entrambi più acerbi e sbarbati all’epoca; io avevo iniziato a fumare da pochi mesi e vagavo per il soggiorno con attrazione feticista per il mio pacchetto di Lucky Strike morbide, cercando di non sporcare il pavimento di cenere. Non ho un bel ricordo di quei tempi…

A un certo punto ricevetti un SMS da Maio: “ehi bro, dove sei?. Vieni subito, devo dirti una cosa”. Io e Maio non comunicavamo mai per telefono e l’urgenza di contattarmi era talmente insolita che decisi di rincasare rapidamente. Nel tragitto inferii sulla faccenda e il peggiore degli esiti emerse nella mente una volta giunto al portone, salvo poi rimuoverlo dopo pochi secondi ritenendolo “eccessivo”. Sarebbe bastato aprire la bacheca di Facebook per ritrovarmelo manifestato in tutta la sua crudezza: gli Underoath si erano sciolti. La mia, la nostra, band preferita si era sciolta. Fu una delle ultime volte in cui io e Maio parlammo.

Il liceo era ricominciato da un paio di settimane ; giocare a fare l’adolescente irrequieto in quel posto per mascherare l’insicurezza mi sarebbe poi costata caro, ma quella è un’altra storia. La mattina dopo ero in classe e come ogni giorno sarei voluto essere ovunque tranne che lì. Ricevetti un messaggio da Simone che mi faceva delle sincere “condoglianze” (così lui le definì) per quanto successo. Sorrisi. Il giorno dopo in sala prove Alberto, nella cui casa passai la maggior parte dei miei pomeriggi estivi, mi diede una pacca sulla spalla dicendo che gli dispiaceva. Almeno la mia band era ancora lì, integra e entusiasta più che mai. Avremmo suonato l’ultima volta nel maggio del 2014. 

In questi 5 anni e mezzo sono cambiate molte altre cose: Simone si è laureato, Alberto si è trasferito e Chad si è fatto crescere una barba fighissima. Io dal canto mio, superati i livori e i tormenti dell’adolescenza, ho mutato riferimenti musicali appassionandomi ad altri generi, diventando forse l’ascoltatore selettivo che a 17 anni avrei aborrito. Tuttavia, per quanto gusti e passioni cambino, conservo memorie indelebili di album come “Define The Great Line” o “Lost In The Sound Separation”, autentici simulacri della mia teenage angst e dischi di rottura che mi fecero buttare il 90% della roba “con le urla” che ascoltavo prima. Poi avrei scoperto i Converge e a quel punto la rottura sarebbe stata definitiva, anche verso gliUnderoath stessi la cui genuinità musicale e rilevanza nella mia vita non sono mai state messe in discussione.

Se la sete di nuove perle poteva avere un senso all’epoca, oggi, abbeverato presso altri lidi, del successore di “Disambiguation” me ne frega molto poco. Sopratutto se il successore in questione è un disco come “Erase Me”, sesto (ottavo se consideriamo AOD e COTP) album degli Underoath uscito sulla lunga distanza per la orripilante Fearless Records e che,volendo parafrasare ingenuamente il titolo, è letteralmente un disco da cancellare.

Diciamoci la verità: un comeback degli Underoath nel 2018 può essere veicolato solo da esigenze alimentari nate in seno ai travagli da sempre caratterizzanti il monicker in questione e come diretta conseguenza dei fallimenti commerciali di side-project quali The Almost Sleepwave. 

Ma andiamo con ordine: torna dietro le pelli Aaron Gillespie, nel 2010 sostituito (più che degnamente) dall’ex Norma Jean Daniel Davison. Viene ulteriormente esacerbato l’abbandono alla fede cristiana, storica concrezione di senso delle liriche degli Underoath, ma che in realtà poteva già essere intuito 8 anni fa (il passaggio da Tooth & Nail a Roadrunner Records è alquanto chiarificatore a tal proposito). Si mettono le parolacce nei testi e Spencer si è tinto i capelli di biondo. 

Messe da parte le contingenze arriviamo alla sostanza. Come suona questo “Erase Me”? Come un disco sbagliato. E, nonostante si fosse già intuito,questo va messo subito in chiaro. I nodi da sciogliere sono tanti e sicuramente la carenza di idee è il primo a palesarsi, perchè per quanto si possa discutere di discrezionalità soggettiva da subito emerge la povertà dei contenuti in termini di ricerca sonora ed esecuzione tecnica. L’aspetto più tangibile dal punto di vista stilistico è la pervasività della componente elettronica, non più circoscritta a mera comprimaria ma parte ormai integrante dei brani. Synth taglienti dalle sonorità trance e sezione ritmica fatta di bassi distorti e campionamenti dubstep. Scelta non necessariamente deprecabile di per se ma in tal caso sfruttata al solo fine di dare maggiore corporeità a brani altrimenti smorti e spenti. 

La partenza in realtà si colloca su livelli discreti: It Has To Start Somewhere sembra una b-side di “Disambiguation”, disco maggiormente identificabile come genitore biologico di “Erase Me”, confezionando un brano solido e stratificato seppur lontano dalla memorabilità. Il problema è che trattasi del punto più alto del pattern. 

Proseguendo nell’ascolto ci impantaneremo sempre più in un’amalgama di nu-emocore e metalcore datata e priva di identità, dove quelli che un tempo erano precursori in entrambi i generi giocano oggi a fare i seguaci, e quindi la parodia, di loro stessi. Tutto è blando, tanto nel tiro (sgonfio) quanto nelle melodie (banali e talvolta eccessivamente diabetiche, sopratutto nei ritornelli). 

Rapture vince la palma aurea di brano più anonimo del disco, seguito da Sink With You, Hold Your Breath No Frame, in cui l’impatto emotivo risulta non pervenuto. On My Teeth per reiterazione degli ascolti potrà risultare un simpatico guilty pleasure a cui concedersi nel breve periodo, prima di decadere nell’oblio insieme al resto del disco.

I momenti più consueti sono quelli in cui, probabilmente per sbaglio, si finisce per emulare la corrente nu-emocore dei primi anni 2000, solo che non siamo dinanzi a una variante sul tema di “They’re Only Chasing Safety” con cui ai tempi (ancora acerbi e lontani dai loro lavori migliori) gli Underoath fecero uno dei dischi più rappresentativi e tra i pochi realmente riusciti di tale corrente, bensì trattasi di manovre di emulazione involontaria verso altri colleghi più o meno autorevoli. Mettiamola così: nella migliore delle ipotesi si copiano male i Thrice di “Vheissu” (Bloodlust); nella peggiore si riesce a copiare bene gli Escape The Fate (In Motion, la terrificante Wake Me, sicuramente punto più basso del disco, e la tutto sommato ascoltabile ihateit). La conclusiva I Gave Up non spicca per qualità rispetto alle altre tracce ma almeno si lascia apprezzare per solennità e nostalgia; sembra che arrivati alla fine abbiano voluto dirci “non volerci male, siamo sempre noi”. 

Per il resto non c’è molto altro da esperire. Linee di batteria lineari e prevedibili. Bassi anonimi e chitarre liquide, coerenti con lo stile chitarristico di Tim e James che mai sono stati dei macina riff nel senso stretto del termine, salvo rari casi. Anche le parti canore sono decisamente più anonime: gli intrecci vocali tra lo scream cavernoso e le clean vocals acidissime di Spencer e il timbro fanciullesco di Aaron un tempo erano causa di infarti multipli. Qui invece risultano esangui e quasi indistinguibili tra loro, iperprodotti e indolori.

Riassumendo. “Erase Me” è un disco fallito, difficilmente contestualizzabile nella contemporaneità e sintomatico di un genere in progressiva decadenza, da parte di una band in passato capace di grandi cose ma che in questa occasione palesemente non si è impegnata. Grazie per tutto, bene vi voglio e ve ne vorrò sempre, ma a questo giro passo. 

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