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Melvins – Pinkus Abortion Technician

2018 - Ipecac Recordings
alternative / stoner

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Tracklist

1. Stop Moving To Florida
2. Embrace The Rub
3. Don't Forget To Breathe
4. Flamboyant Duck
5. Break Bread
6. I Want To Hold Your Hand
7. Prenup Butter
8. Graveyard


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Ecco tornare anche quest’anno i Melvins, a distanza di neanche nove mesi dalla pubblicazione del precedente doppio album “A Walk With Love & Death”. A cavallo tra la fine dello scorso secolo e l’inizio di quello attuale, questi mostri di prolificità hanno scritto alcune delle pagine più belle dell’alternative a stelle e strisce, spaziando con grande disinvoltura dal grunge sporco e cattivo del superclassico “Houdini” – in cabina di regia c’era un tale Kurt Cobain, avete presente? – al puro hardcore di protesta al fianco di quella leggenda punk che porta il nome di Jello Biafra (dietro al microfono per “Never Breathe What You Can’t See” del 2004 e per la compilation “Sieg Howdy!” del 2005).

A Buzz Osborne (voce, chitarra) e Dale Crover (batteria) è sempre piaciuto molto sperimentare non solo con la propria musica, ma anche con la formazione stessa della band: recentemente li abbiamo conosciuti in versione “Lite” (“Freak Puke” del 2012), in formato “1983” (con il batterista originale Mike Dillard e Crover trasferitosi al basso per Tres Cabronesdel 2013) e ancora affiancati da una quantità spropositata di ospiti illustri in Basses Loadeddel 2016. Ora, dopo aver in passato tentato la via della doppia chitarra e addirittura della doppia batteria, i Melvins si concedono l’ennesima stravaganza: in “Pinkus Abortion Technician” suonano due bassisti, il “solito” Steven Shane McDonald (membro storico dei Redd Kross) e la new entry Jeff Pinkus, noto soprattutto per la sua militanza nelle file di quei geniali pazzerelli che portano il nome di Butthole Surfers.

Quello di Pinkus, in realtà, è un ritorno: le sue quattro corde rimbombano in Hold It In del 2014 e su una traccia contenuta in “Basses Loaded”. La rinnovata collaborazione con il bassista texano devo però aver fatto entusiasmare a tal punto i Melvins da decidere in qualche modo di dedicargli questa uscita, che nel titolo omaggia in maniera esplicita sia Pinkus, sia quel Locust Abortion Technician che nel lontano 1987 confermò i Butthole Surfers quali deliranti maestri dell’alt rock più contaminato.

Certo, c’è tanta carne al fuoco nel nuovo album dei Melvins; purtroppo però anche in questo caso, come avviene già da un po’ di anni ormai, la band non convince appieno e il risultato finale delude le aspettative, che mai come in questa occasione erano tornate a essere piuttosto alte. La formula del doppio bassista non viene sfruttata sempre al meglio – a eccezione degli otto minuti “esotici” e spaziali di Don’t Forget To Breathe e della frustata punk Embrace The Rub, nelle cui strofe assistiamo a un bel duello di virtuosismi tra McDonald e Pinkus – e l’impressione generale è che Osborne e Crover non abbiano più così tanta voglia di “mordere” le orecchie dell’ascoltatore.

Il fatto che ben tre degli otto brani in scaletta (pochissimi, il disco supera a malapena la mezz’ora) siano cover è un segno evidente della scarsa ispirazione che attanaglia “Pinkus Abortion Technician”. Le versioni targate Melvins di I Want To Hold Your Hand (The Beatles), Graveyard (Butthole Surfers) e il medley Stop Moving To Florida – mix stranamente poco spiazzante di Stop dei James Gang e Moving To Florida (ancora Butthole Surfers) – sono piacevoli e divertenti, ma solo nei passaggi più ruvidi lasciano il segno.

Cari Melvins, che sia arrivato il momento di cominciare a centellinare le uscite?

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